Quest’estate, scorrendo i social, ci è capitato di leggere un titolo che ci ha colpiti: “Tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli e, incuriositi dal titolo, lo abbiamo acquistato senza neanche leggere fino in fondo la sinossi. Non importava, aveva già attirato la nostra attenzione. Si tratta del libro vincitore del Premio Strega Giovani del 2020, un romanzo basato su esperienze autobiografiche che quest’anno avrà un adattamento seriale su Netflix, disponibile da ottobre (qui potete vedere il trailer), in cui il protagonista verrà interpretato da Federico Cesari, che ha vestito i panni di Martino Rametta in Skam Italia.
Nel libro seguiamo i sette giorni di TSO – trattamento sanitario obbligatorio – di Daniele, un ragazzo di vent’anni che, a causa di uno scatto di rabbia distruttivo, viene rinchiuso in un reparto psichiatrico.È martedì 14 del 1994, ci troviamo in un ospedale poco distante da Roma e il primo approccio che abbiamo con il protagonista è mentre uno degli altri ricoverati è intento a dargli fuoco ai capelli. Piano piano facciamo la conoscenza di tutti i suoi cinque compagni di stanza: Mario, Alessandro, Gianluca, Giorgio e Madonnina. Di quest’ultimo non si sa niente, né nome, né età, né passato, il soprannome “Madonnina” deriva da un’invocazione costante che ripete. Nonostante l’iniziale diffidenza, quelle cinque persone diventano la vera e propria famiglia di Daniele, dove non esistono pregiudizi perché si trovano tutti sulla stessa barca. Ognuno di loro deve fare i conti con il proprio “lato oscuro”, con i propri blocchi. Deve farsi forza di fronte al disinteresse dei terapisti, che finiscono anche per addormentarsi mentre sono in pieno colloquio giornaliero o degli infermieri, nervosi per avere a che fare con “i matti”.
“Bastava ascoltare, guardare negli occhi, concedere. Una volta, una sola volta. Invece non lo hanno fatto. Perché per loro non eravamo degni di essere ascoltati. Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani.”
Tutti i personaggi sono alla ricerca di salvezza, di un riscatto. Non solo i malati, ma anche gli infermieri che sognano un futuro diverso, lontano dall’ospedale. Non è solo lo strazio dei malati che ci viene presentato, ma anche dei familiari che si affacciano per portare un saluto ai degenti. Quello di Mencarelli è un romanzo potente, carico di emotività, da cui è difficile staccarsi. In poco più di duecento pagine, ci ritroviamo a essere sul lettino accanto a Daniele, ad ascoltare le confessioni e il lato più umano dei suoi compagni di stanza. Tutti i personaggi sono alla ricerca di salvezza, per lo più dal proprio passato: c’è chi ha ricoperto il proprio corpo di tagli per il trauma di non aver visto la madre negli ultimi istanti di vita, chi tiene lontano la famiglia per salvarla dalla persona stessa e chi è prigioniero del proprio corpo. Eppure i malati non ottengono comprensione da chi dovrebbe prendersi cura di loro. Prescrizione di farmaci e via con il paziente dopo.
I dialoghi sono scritti in romano, mentre si cerca di analizzare la condizione dei reparti psichiatrici, ponendo l’attenzione sul lato umano dei degenti. Nel reparto si respira la sofferenza e la sincerità di tutti, ingabbiati in un mondo che non presta loro attenzione. Chiuso in una stanza afosa e maleodorante, Mencarelli ci fa piombare in una settimana tipica dei malati del ‘94 in maniera cruda, ma estremamente persuasiva. Lo stile di scrittura ti cattura immediatamente, tale è la forza delle immagini scaturite dalla penna di Mencarelli. Malinconia, tristezza, senso di impotenza sono gli elementi cardine del romanzo, di personaggi che si trovano sulla stessa situazione per motivi più o meno gravi. Ognuno di loro cerca di espiare la propria colpa, malgrado non vengano trattati come umani. L’emarginazione sociale dei personaggi viene fatta in primis dagli infermieri, che sono riluttanti a occuparsi di chi non può farlo da solo, con il pensiero costante che tutti lì dentro sono matti.
“Mentre parlo, rivedo uno a uno i miei compagni di stanza, la solitudine, il disagio sociale, anni e anni di lotta contro il proprio male, spesso anche contro quelli accorsi in aiuto e peggiori del male stesso.”
Una lucida analisi della malattia, in cui ci sembra di assistere al racconto di un amico. Le parole di Mencarelli ci spiazzano, nonostante all’inizio Daniele si senta un pesce fuor d’acqua in quella condizione insieme a quelli che sembrano matti veri, ma alla fine si rende conto che può essere se stesso, che leggere le sue poesie non è fonte di disagio, che nessuno lì dentro può giudicare perché si è costantemente giudicati dal mondo esterno. Il protagonista, con un livello estremo di empatia, si ritrova a sobbarcarsi in silenzio il dolore altrui, a prendersi colpe anche dove esse non sussistono. E si indaga sul senso dell’esistenza umana, del tormento, del fatto che la vita da un giorno all’altro può cambiare e che ci si può ritrovare come Alessandro, prigionieri di un corpo non più in grado di rispondere fisicamente a stimoli esterni o che, nonostante le lauree, il nostro cervello possa farci regredire allo stadio di bambini. Daniele ha vent’anni ed è il più giovane della compagnia, ma la malattia annulla ogni differenza e ogni diffidenza.
Se non avete letto “Tutto chiede salvezza”, noi di 4Muses vi invitiamo a farlo, perché è un romanzo che merita davvero tanto un posto nella nostra libreria.
Nessun commento:
Posta un commento