Ci sono alcuni titoli che vengono “spammati” (pubblicizzati in maniera eccessiva) praticamente ovunque, che anche quando esci di casa trovi qualcuno che tiene il libro sotto il braccio o sul treno trovi qualcuno che lo legge con evidente interesse. Incuriositi, ci siamo anche noi approcciati a “Le bugie del mare”, di Kaho Nashiki. Come sapete, noi siamo davvero affascinati dalla letteratura del Sol Levante con autori come la Yoshimoto, Murakami, Arikawa e Shimazaki, e avevamo già letto “Un’estate con la strega dell’Ovest” della Nashiki, quindi con un romanzo così tanto pubblicizzato ci sembrava una buona idea provare nuovamente. Beh, non è andata come speravamo.
Per onestà intellettuale, vanno detti anche i romanzi che ci hanno deluso, pur cercando di mettere in luce i loro punti di forza. “Le bugie del mare” è un romanzo di poco più di duecento pagine, edito da Feltrinelli e pubblicato in italiano per la prima volta nel 2021. Nella storia, seguiamo il viaggio di Akino, un giovane studioso di geografia antropica presso l’Università K. che si reca su un’isola sperduta nel Pacifico, l’isola di Osojima per svolgere alcune ricerche. È lì per riprendere in mano il lavoro del suo mentore, morto prima di compiere la missione e per cercare se stesso in quella sorta di paradiso terrestre, dopo tre lutti importanti che ha subito nel giro di poco tempo.
Il problema della narrazione sta nel fatto che sembra più un manuale naturalistico, che una storia. Akino gira per l’isola, facendosi accompagnare da diversi personaggi nella sua esplorazione, ma della sua elaborazione del lutto se ne parla davvero poco, senza mai dar spazio all’introspezione più profonda. Tutta la sua attenzione ruota intorno all’ambito naturalistico. L’isola di Osojima ci viene raccontata nei minimi particolari, con le nominazioni anche giapponesi, ma di storia vera e propria c’è ben poco. Con buona probabilità, si tratta di diverse metafore che chi sta scrivendo l'articolo non è stata in grado di cogliere.
D’altro canto, ci sentiamo in dovere di parlare anche dei punti di forza del romanzo. Ogni pianta descritta, ogni animale incrociato, hanno una storia ricca di spiritualità. L’isola alla fine è come se fosse un enorme tempio, dove tutto è percorso da uno spirito carico di misticismo. Nel suo percorrere quest’isola giapponese, Akino fa i conti con vecchie realtà shintoiste e buddhiste che sembrano far vibrare ancora le corde di quella natura incontaminata. Le persone dell’isola vivono in simbiosi con la natura e piano piano anche il protagonista comincia a sentirsi parte di quell’ecosistema.
“Desideravo raggiungere un luogo sacro e silenzioso, che in passato fosse stato testimone di eventi importanti. Là dove mi sarebbe stato possibile percepire, anche se solo in modo breve e parziale, il senso dell’esistenza e di ciò che siamo abituati a chiamare tempo.”
Il tradimento più grande ci sarà quando, dopo un salto di cinquant’anni, Akino troverà una realtà completamente diversa da quella che si era lasciato alle spalle, di come questo patto tra uomo e natura fosse venuto meno con l’avvento della modernità. Cominciando a esserci ruspe dove una volta c’erano capre e la montagna, ritenuto luogo sacro, inizia a essere smembrata. Gli alberi vengono abbattuti ed è come se andasse anche alla deriva il misticismo che permeava l’isola che, a cinquant’anni di distanza, sembra essersi fatta da parte in silenzio, lasciando che il progresso umano facesse il suo corso e, abbandonato alla distruzione, provasse a costruire una nuova realtà sulle rovine delle basi religiose ed esoteriche che rendevano viva Osojima.
Un luogo incantato, dove le lotte religiose hanno lasciato una ferita aperta che la natura sembra voler curare. E le ferite di Akino trovano sanamento, venendo a patti con il fatto che la morte può essere anche un battito di ciglia, ma è come se a questo romanzo mancasse l’azione, come se mancasse un qualcosa che spinga il lettore ad appassionarsi a ciò che scopre Akino.
Lo stile della Nashiki si riflette in una storia molto malinconica, ma anche lenta e priva di colpi di scena. Lo scopo del viaggio del protagonista rimane un sottofondo rispetto alle descrizioni naturalistiche dell’opera. Non che tutti gli autori sopracitati mettano chissà quanta azione nei loro libri, proprio in virtù del fatto che la narrativa giapponese mette in luce soprattutto gli aspetti spirituali, ma l’eccessiva attenzione ai toponimi rende la lettura molto pesante.
Non siamo rimaste soddisfatte di questa storia, ma se voi avete un’idea diversa, siamo aperti al dialogo.
Nessun commento:
Posta un commento