La necessità di dover aggiungere minutaggi alle saghe degli anni ’80 e ’90 è decisamente fin troppo fervente. Si tenta, in questo modo, di giocare con l’effetto nostalgia provando ad aggiungere contenuto su contenuto, ma il più delle volte si fallisce creando delle storie che si mostrano fallimentari sotto il punto di vista narrativo. Arriva, così, direttamente su Disney+ “Prey”, prequel della saga cinematografica: “Predator”.
Il nome vi risulterà decisamente familiare, soprattutto per i più nerd di voi, perché stiamo parlando di uno dei più grossi franchisee crossmediali della storia: fumetti, film, videogiochi, prequel, sequel e crossover, l’hanno fatta da padrone regalando al pubblico innumerevoli minutaggi orrorifici da cui godere. Ma in mano a Disney, sappiamo bene tutti, che fine fanno i contenuti. Con l’acquisto della 20th Century, automaticamente, la produzione ha dato il via a tutta una serie di pellicole che non vedranno la sala cinematografica, ma che saranno direttamente portate sulla piattaforma.
Come potete già intuire dalle premesse, la visione di Prey non ci ha lasciato molto entusiaste. Abbiamo avuto modo di vedere questa pellicola in anteprima al Giffoni, ma la proiezione sul grande schermo risente parecchio delle piccole attenzioni visive quando sono state pensate per la fruizione domestica. Procediamo, comunque, con ordine anche se vorremmo evitarvi quanti più spoiler possibili.
Siamo nel 1712 circa, una cinquantina d’anni prima che iniziasse la guerra di Indipendenza americana. La scelta di questa data appare, fin da subito, abbastanza discutibile, ed è evidente di come essa sia frutto di un mal tentata copertura del politicamente corretto. I protagonisti del film, manco a dirlo, sono gli Indiani d’America, popolazione largamente soppressa in quegli anni proprio dall’uomo europeo che cercava di farsi spazio come colonia in quelle terre. Sarebbe stato molto più intrigante vedere questa storia traslata direttamente nel periodo preistorico piuttosto che in un momento storico così tanto caratterizzante per le sorti americane. Quando si parla di politicamente corretto si deve comunque fare attenzione, perché oggi lo si invoca fin troppo spesso e questa è proprio una di quelle pellicole che invece ci fa comprendere cosa non si dovrebbe mai fare con una storia.
Prey, vuol dire preda. Tutta la pellicola, infatti, gioca su questo concetto cercando di ergere i Nativi Americani a grandi cacciatori che riescono a ribaltare le sorti del loro destino. Quello che però riescono a ribaltare è la costruzione del mondo che Predator aveva forgiato nel corso della creazione del suo franchisee. Sappiamo che, infatti, i Predatori arrivano sui diversi pianeti per cercare di comprendere le tecniche di combattimento di quel posto, così da poter diventare i primari esseri nella piramide alimentare. In questa narrazione vengono malamente usati come pretesto narrativo e anche come elemento vendicativo nei riguardi del colone francofono.
Questo film, dunque, in modo abbastanza pretestuoso cerca di diventare una storia di formazione, attraverso la quale la nostra protagonista cresce, ma in realtà si mostra debole e abbastanza rocambolesca. Le disavventure che vive la nostra protagonista sono tutte frutto della sua inesperienza, il che dimostra quanto poco pronta fosse per scendere in battaglia. E, quasi come se fosse un videogioco, inizia a compiere tutta una serie di azioni create affinché lei possa arrivare al termine del film formata e in grado di poter affrontare il suo nemico. Ancora una volta, infatti, si raggiunge la narrativa secondo la quale nel combattimento la distinzione tra uomo e donna è data dall’uso o meno dell’intelletto e dell’intuito. Il fratello delle protagonista, infatti, così come i suoi compagni, punta tutto sulla preparazione alla caccia (sicuro di esser in grado di cacciare chi sta dando loro la caccia) e quindi usa la forza. Mentre la protagonista cerca di usare l’arte dell’inganno, l’astuzia e la furbizia per poter cacciare chi dà loro la caccia.
Prey è, in sostanza, un po’ il gioco delle parti, ma manca di quella forza narrativa e orrorifica che aveva caratterizzato la saga fino a questo istante. Si veste di politicamente corretto con la scelta delle dediche finali e sulla scelta delle ambientazioni immotivate e non necessarie. Si lascia andare a delle pecche narrative che finiscono col far diventare poco convincente tutto il film. È, dunque, un bene che questo film arrivi direttamente in piattaforma perché in sala sarebbe stato stroncato dopo i primi spettacoli.
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