Si tratta di un bambino di appena quattro anni, Kotaro Sato, che, a causa delle vicessitudini della vita, si ritrova a vivere da solo. Sua madre è morta, ma lui non lo sa e ogni settimana gli viene corrisposto un assegno: l’assicurazione sulla vita della donna. Lui è convinto si tratti della generosa offerta di uno sconosciuto gentile. Vive in un piccolo appartamento, il 203, e a prendersi cura di lui ci pensa Shin Karino, un mangaka trentenne squattrinato e suo vicino che lo accudisce diventandone una sorta di tutore/genitore. Anche se inizialmente infastidito dal comportamento da finto adulto del piccolo, non riuscirà più a farne a meno e così faranno anche gli altri inquilini degli appartamenti adiacenti: lo strambo Isamu Tamaru, l’hostess Mizaki Akitomo e Sumire Takei.
Ogni puntata è divisa in sottocapitoli, come se fossero strisce fumettistiche che servono a comporre il profilo psicologico di questo bambino. Kotaro aspetta costantemente il ritorno della madre e cerca di non farsi trovare dal padre violento, motivo per cui sfugge a chiunque voglia fotografarlo. Costretto a crescere da solo e velocemente, il piccolo ha scambiato la propria infanzia a favore della sopravvivenza, infatti si comporta e parla come un adulto, a discapito appunto di una infanzia negata, che gli provoca non pochi traumi. Kotaro ha costantemente paura che la gente lo consideri un peso, che possa allontanarlo se per un paio di giorni è impossibilitato a farsi un bagno e ha sperimentato i morsi della fame. Nella prima puntata, infatti, scopriamo che per non sentire la pancia che brontolava, era arrivato anche a mangiare dei fazzoletti di carta. Il suo volersi mostrare sempre forte e all’altezza della situazione lo porta a vivere costantemente a disagio e il solo momento in cui riesce davvero a essere un bambino è quando guarda in televisione il suo personaggio preferito, Tonosama. Questo personaggio è stato il suo compagno durante le pesanti liti dei suoi genitori e la sua ancora di salvezza nelle lunghe notti in solitaria.
Il primo che si occupa di lui e che vorrebbe che si comportasse come un normale bambino, è Karino. Anche se lo trova insopportabile, comincia a essere la sua figura di riferimento, alla stregua di un padre, che si premura di andarlo a portare e a riprendere dall’asilo, che lo accompagna ai bagni pubblici, lo porta al cinema e a fare compere. Da mangaka senza un soldo, che sopravvive solo grazie a un premio in denaro vinto qualche tempo prima, Karino si fa in quattro per non mancare mai agli avvenimenti importanti del piccolo, compreso l’accompagnarlo al cimitero per onorare i nonni di Kotaro stesso. Sarà proprio lì che il ragazzo scorgerà la tomba della madre del piccolo, ma sceglie di tenerglielo nascosto, capendo che per il bambino è importante credere di avere ancora un genitore che tornerà da lui.
Kotaro diviene quindi il simbolo dell’abbandono infantile, che fa di tutto per non ammettere la propria solitudine, ma che si traduce nel suo comportamento forzatamente adulto. Alla spensieratezza tipica della sua età si contrappone con forza il trauma dell’abbandono. Kotaro non piange perché vuole dimostrare la propria forza quando dovrà riaffrontare suo padre, quindi quando tutti i bambini della scuola vengono accompagnati dai genitori, lui si limita a osservare il posto vuoto al suo fianco. In qualche modo ha integrato la solitudine e si nasconde dietro delle bugie che gli permettono di andare avanti giorno per giorno. Il posto, però, viene ben presto occupato da Karino che, seppur trattandolo come un adulto, imposta la sua vita come un tutore e, sistemando la propria vita, raggiunge un traguardo importante per la sua carriera. Kotaro alla fine non è solo, perché ha tanti strambi personaggi che lo amano e lo considerano come un figlio. In qualche modo ha trovato una vera famiglia.
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