Visto in anteprima a Venezia79, in sala arriva Tár, pellicola con interprete protagonista Cate Blanchett. L’attrice, proprio a Venezia, ha conquistato la coppa Volpi come miglior attrice; la stessa vittoria le è stata riconosciuta ai Golden Globe per l’interpretazione in un film drammatico. Il lavoro di Todd Field porta in scena la storia di Lydia Tár, rinomata direttrice di orchestra e compositrice internazionale della musica classica.
Dalle premesse, Tár sembrerebbe narrare una storia realmente accaduta. Il marketing stesso sembra portare l’attenzione su questa narrazione come se fosse l’ennesimo biopic, ma la realtà è un’altra. L’interpretazione di Cate Blanchett conferisce la forza necessaria per poter credere alla sua verosimiglianza, ma il tutto è stato costruito dallo stesso regista che già nel 2021 aveva dichiarato di voler realizzare un’opera con la Blanchett come protagonista. Parliamo, dunque, di un ruolo che le è stato praticamente cucito in maniera sartoriale, motivo che ci spinge a credere che l’attività recitativa di Cate sia stata proprio condotta nella “giusta” direzione. Elemento che, complessivamente, ci spinge a dire che guardando alle nomination degli Oscar di quest’anno, la candidatura come miglior attrice sia quella che realmente questo film merita. Lydia Tár, dunque, prende vita proprio grazie alla scrittura di Field e al talento del cast scelto.
La storia cavalca, in un punto di vista quasi nuovo, le vicende che hanno visto coinvolta Hollywood negli scorsi anni. Il movimento #MeToo viene, così, scandagliato e analizzato affinché possa essere il pubblico stesso a formare un proprio punto di vista. Un’analisi che permette, grazie ai diversi spunti, di formulare un proprio pensiero su vittime e carnefici dell’epoca della cancellazione.
Siamo a Belino, la prima donna ad aver assunto un prestigio tale da poter essere la prima direttrice della Filarmonica subisce le accuse pubbliche derivanti dal suicidio di una sua ex-protégé. Lydia; in breve tempo, perde il lavoro e la propria famiglia a causa dell’atto compiuto da Krista e che pubblicamente spinge la gente a rivalutare il suo ruolo. Gesti e carezze così vengono fraintesi dall’occhio pubblico, tanto da validare colpe anche insistenti. Lydia, in breve tempo, è costretta a cercare di discolparsi dalle accuse di abusi di potere, così come anche di una presunta misoginia. La moglie Sharon, insieme alla figlia, decide di lasciarla per non ritrovarsi coinvolta negli scandali così da preservare il bene della bambina. La filarmonica la licenzia e, successivamente alla pubblicazione di un video completamente decontestualizzato, perde anche il rispetto che aveva faticosamente guadagnato sul piano internazionale.
La credibilità di una donna, dunque, viene messa immediatamente in discussione senza che lei possa avere davvero possibilità di repliche. Il suo comportamento, del resto, nel corso della narrazione di certo non la mette in un’ottima posizione. Il film cerca di muoversi sulla dualità dell’essere vittima e allo stesso tempo carnefici. La regia di Field non fornisce gli indizi decisivi per poter comprendere la verità e l’entità di tali accuse. Manchevole di dettagli, lo spettatore non può far altro che cercare di colmare le lacune che la pellicola dà. E se questo da un lato può essere interpretato come una libertà che si decide di dare al lettore dell’opera, dall’altro, fa in modo che la storia ne possa uscire davvero fin troppo frammentata. Lydia ha qualcosa da nascondere, ma non si saprà mai bene cosa. Anche quando vengono introdotti gli altri personaggi, come ad esempio Olga (Sophie Kauer), non possiamo fare a meno di notare come voglia essere quasi lo specchio delle accuse che sono state mosse a Lydia. Tanto che, la stessa protetta finisce col credere a propria volta alla verità delle illazioni.
Che il comportamento di Lydia non sia cristallino ma decisamente fraintendibile è chiaro fin dal principio. Complice una struttura filmica fin troppo sfumata, fatta di troppi grigi che non prendono mai il giusto tono per poter dare una direzione. Le scelte prese dalla donna confermano il suo ruolo da “mostro”, perché non vi è mai una reale giustificazione o una discolpa. Il tutto tocca punti di rovina fin troppo consapevoli senza avere una reale possibilità di rialzo.
Tár è frammentario e frammentato. Non fornisce un quadro generale, ma un insieme di punti di svolta che non portano da nessuna parte. Un vicolo cieco che si richiude su sé stesso senza possibilità d’uscita. Field forse vuol far riflettere su un’Hollywood che cancella con fin troppa facilità, ma fallisce nel ricostruire le proprie stesse vicende. Un ruolo cucito bene sulle doti recitative della Blanchett, ma che in ogni caso non riesce a dare una vera chiave di lettura. Buchi, sotto intensi, nascondigli di verità che diventano diafani sotto la lente dell’opinione pubblica. Decontestualizzare è facile, estremamente, ma allo stesso tempo lo si rende ancor più comodo se si hanno indizi da nascondere.
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