Questi percorsi che legano tra loro i diversi immaginari mitologici ci stanno divertendo parecchio. Oggi tocchiamo un argomento molto presente all’interno della nostra vita: il conflitto, la guerra. Temuto e venerato, il conflitto fa parte dell’essere umano tanto quanto lo fa la ricerca di pace. Del resto, non apprezzeremmo la calma se non ci fosse la tempesta.
Nel corso dei miti, la guerra ha preso diverse sembianze (tra cui anche quella degli outfit di Mengoni a Sanremo 2023) e si è inserita all’interno del nostro immaginario attraverso i diversi racconti. Nella mitologia norrena, affiancato dall’idea di giustizia, troviamo Tyr. La sua genealogia si distingue tra Edda Poetica e quella in Prosa: nella prima è descritto come figlio di Hymir; nella seconda, invece, è figlio di Odino e di Hróðr, gigantessa successivamente moglie di Hymir. Appartiene, in ogni caso, alla stirpe degli Asi ed è definito come il coraggioso, l’ardito, il sapiente ed è lui che decide l’esito delle battaglie. Per ottenere la vittoria in battaglia, i guerrieri devono invocare il suo nome per due volte e incidere la runa Tiwaz sulla spada.
La runa è, infatti, riconducibile all’origine proto-indoeuropea del suo nome. Nel mondo germanico il termine che descrive la divinità si è caratterizzato in deywos e successivamente "Teiwaz" e infine nel proto-germanico Tîwaz; l'evoluzione del nome del dio potrebbe essere passata in una fase intermedia a "Tyz" prima di arrivare al definitivo Týr. Oltre a essere il dio della guerra, è anche quello che presiede alle assemblee, con il compito di mantenere l’ordine del cosmo. Durante il Ragnarok combatterà contro Garmr, per molti versi simile al lupo Fenrir.
Nel periodo delle invasioni barbariche, il suo culto venne superato da quello di Odino e di Thor. Un’attenta analisi nelle origini di questa divinità ha fatto supporre che, nelle religioni proto-indoeuropee, tutte le divinità fossero associate al fulmine e che quindi la specifica associazione di questo elemento a Zeus e a Thor fosse avvenuta in fasi successive; anche per emulazione del credo latino e greco che riconducevano specificatamente questa caratteristica a Giove e a Zeus. Esattamente come è avvenuto per le altre divinità, il giorno associato a Tyr era proprio il Tuesday, ovvero il martedì; ciò è dovuto all’assonanza con la lingua inglese, ma evidenzia ancor di più le somiglianze di credo tra le religioni germaniche e le altre. Per i popoli del Mediterraneo, del resto, il martedì il giorno di Marte.
Non si sa molto della sua discendenza e il suo mito si conclude, per lo più, con il suo sacrificio durante la lotta contro il figlio del Dio Loki: Fenrir, un lupo che cresceva a dismisura. Odino ebbe una visione in cui questa creatura avrebbe portato disgrazie, quindi venne fatto incatenare e sfamare solo da Tyr, collocandolo sull’isola di Lyngvi. Dato che era molto forte, nessuna catena sembrava resistergli, fino a che non venne chiesto ai nani di crearne una indistruttibile. Una volta pronta (fatta di passo di gatto, barba di donna, respiro di pesce e saliva d’uccello), al tatto aveva la consistenza di seta. Sospettoso, Fenrir accettò di farsi legare, ma a una condizione: uno degli dei avrebbe dovuto mettere la mano tra le sue fauci. Tyr accettò e quando il lupo non riuscì a liberarsi, capendo di essere stato sconfitto e adirato per le risa di scherno degli dei, gli recise la mano con un morso. Da allora, Tyr è anche detto “il dio monco”.
Le tracce della sua associazione col tuono vengono ritrovate anche nelle associazioni fatte a Marte. La divinità romana, infatti, era il dio della guerra, dei duelli, della pioggia, del tuono e anche della fertilità. Mitologia che si interseca perfettamente tra Tyr e Thor. Nella religione greca, invece, era figlio di Zeus ed Era e molto spesso viene identificato tra le dodici principali divinità. La guerra è il suo simbolo, nel senso più generale del termine, ma si tratta di un’imprecisione perché in realtà in Ares si incarnano solo gli aspetti più violenti della stessa. Mentre, come abbiamo visto, Tyr incarna il guerriero pronto al sacrificio e l’uomo più maturo ed esperto sul campo da battaglia.
A Roma, Marte era particolarmente onorato soprattutto a partire dal regno di Numa Pompilio. I suoi sacerdoti, chiamati Salli, erano un’istituzione in antichità e risalivano al re-dio Fauno, che li creò proprio in onore della divinità. Nella capitale dell’Impero vi era anche una fontana dedicata al Dio. Nerone, una volta, si bagnò in quella fontana; gesto che venne considerato sacrilego e che fece perdere la simpatia popolare. A partire da quel giorno, Nerone iniziò ad avere problemi di salute e per molti furono associati alla vendetta che il Dio gli scagliò contro.
E se da una parte Marte era molto importante per i latini, per i greci Ares non aveva lo stesso valore. Era per lo più glorificato dagli spartani e veniva invocato perché concedesse il suo favore durante le battaglie. A Sparta era presente una statua di Ares incatenato, simbolo che il Dio e la Vittoria non avrebbero mai abbandonato la città. Fratello di Ares, per i greci, era Efesto (Vulcano per i latini), la divinità dell’ingegneria e delle armi.
Ma se per quanto riguarda la discendenza o le mogli di Tyr non si sa nulla di certo, Marte e Ares sono associati rispettivamente alla figura di Venere e di Afrodite. L’amore tra queste due divinità è stato d’ispirazione per numerosi artisti che, nel corso del tempo, hanno dedicato loro statue e poemi. Nell’Odissea, ad esempio, Afrodite è l’adultera moglie di Efesto e tradisce il marito proprio col fratello. Il matrimonio tra i due era nato per ricatto. Zeus, infatti, aveva fatto nascere dalla propria testa Atena e la moglie Era voleva riuscire nella stessa impresa. Diede, così, alla luce un figlio informe che venne gettato dall’Olimpo proprio da ella a causa delle sue deformità. Efesto escogitò una vendetta per il gesto della madre e un giorno la legò ad un trono fluttuante. Gli dei provarono a convincere Efesto a liberare Era, ma il dio non volle sentir ragioni fin quando Dioniso non riuscì a farlo ubriacare. Guadagnò la libertà della madre, ma diede in cambio la mano di Afrodite. Efesto, però, venne successivamente disonorato dalla moglie nel proprio talamo nuziale; la dea aveva giaciuto col cognato in un impeto di forte passione. Vendicativo e irascibile, una volta tornato nella propria fiocina, Efesto creò una catena d’oro e la usò per immobilizzare i due amanti nel loro amplesso.
Anche quando si affronta il tema della carta natale, infatti, Marte e Venere risultano esser fondamentali per capire il modo con cui l’individuo vive la propria sessualità. L’unione tra conflitto e amore, del resto, considera le funzioni più basilari dei sentimenti umani. Venere e Marte sono il simbolo della pulsione e dell’irrefrenabile passione. Il mito di Marte, così come quello di Tyr, ci porta faccia a faccia con un sentimento che è dentro ognuno di noi. I popoli pagani, paradossalmente, vivevano questa consapevolezza venerando entrambe le facce della medaglia, comprendendo che entrambe fanno parte di noi. Che sia la divinità più infantile, quella più egoista, o quella più saggia e stratega, la voglia di lottare ci appartiene. Non per questo è definibile negativamente.
Nel passato, venivano compiuti dei sacrifici in onore delle divinità che si veneravano per poter trovare il loro favore. Oggi giorno, dovremmo solo guardarci allo specchio per cogliere quelle stesse sfumature dentro di noi. Il sacrificio, lo abbiamo scritto più volte, vuol dire rendere sacro. Portare alla luce ciò che moralmente vien considerato ombra, non può far altro che giovare alla nostra fragilità.
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