Così scriveva Shakespeare, facendo pronunciare queste parole al suo Romeo, che fissava il corpo apparentemente esanime della sua Giulietta nella celeberrima opera teatrale. La morte ha sempre avuto un certo fascino sugli artisti, il più delle volte concentrati sull’attimo stesso prima di esalare l’ultimo respiro o anche il momento dello stesso. Un momento cristallizzato, indipendente da ciò che può esserci dopo. Ed è proprio questa sorta di istantanea che costituisce uno dei significati dell’opera di Damien Hirst: “L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente” (“The physical impossibility of death in the mind of someone living”).
È
il 1991 quando Damien Hirst, artista britannico intorno a cui è nato il
movimento degli Young British Artists, realizza la sua opera che diviene
iconica per l’arte inglese del decennio: “The
physical impossibility of death in the mind of someone living”. Si tratta
di uno squalo tigre di quattro metri
(imbalsamato), immerso in una vasca di soluzione formaldeide. L’imprenditore
iracheno Charles Saartchi nel 1991 si offre di pagare per avere una qualsiasi
opera di Hirst. L’autore, così, ha un’idea: ha bisogno di un animale grande,
enorme, al punto che possa dare l’idea di essere divorati senza problemi. Pensa
quindi allo squalo tigre, che viene individuato e catturato da un pescatore a
largo di Hervey Bay, nel Queensland (Australia). Solo l’animale costa seimila
dollari, tra la cattura (quattromila), imballaggio e spedizione (duemila). L’opera
viene venduta per cinquantamila dollari, tanto che il The Sun scrive sul suo
giornale scandalistico: “£50.000 for fish
without chips”.
Inizialmente
l’animale si era conservato male, il che andava incontro al deterioramento,
così venne sostituito nel 2005 con un secondo squalo, catturato nella medesima
area del primo. Questo portò a un dilemma filosofico riguardo l’integrità dell’opera:
cambiare lo squalo equivale a parlare della medesima opera d’arte? Ricorda un
po’ lo stesso concetto di “Comedian” di Cattelan.
A questa domanda, Hirst rispose asserendo che artisti e conservatori hanno
opinioni contrastanti su quello che realmente conta, se l’opera in sé o l’idea
originale, aggiungendo che per lui importante era l’intenzione. Si trattava, in sostanza, dello stesso pezzo. Ma perché
questo squalo è così importante?
L’intento
dell’autore è quello di spaventare lo spettatore: la paura che questa opera
produce delinea bene il titolo, quindi l’incapacità di razionalizzare la morte, di trovarcisi faccia a faccia con essa. Vediamo
lo squalo morto, imbalsamato, ma questo genera in noi angoscia. Eppure è
immerso in quella che sembra acqua, quindi potrebbe apparire anche “vivo”.
Il
genio di Hirst si è spostato anche nel campo degli NFT: ha dato vita infatti a “The Currency”, la sua collezione
composta da diecimila produzioni, che corrispondono ad altrettante opere d’arte
uniche. Solo che nel suo caso, c’è qualcosa di davvero particolare: il suo
progetto è basato sul fatto che entro un anno, l’acquirente deve scegliere se
tenere l’NFT o il lavoro fisico. Nel caso in cui si prediliga il “token”, l’opera
fisica viene bruciata, nell’altro, invece, si perdono i diritti sul prodotto
digitale. Questo apre, quindi, sul valore dell’arte: quale vale di più?
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