C'è stato un tempo, neanche troppo remoto, in cui le persone con qualsiasi tipo di disturbo mentale venivano rinchiuse, allontanate dal resto della popolazione e sottoposte ad atroci trattamenti per poter "guarire": lobotomia, s-personificazione, scariche elettrice e altri tipi di sevizie erano all'ordine del giorno per poter riportare il malato alla condizione di "sano". Uno dei più famosi manicomi romani era l'ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà, ad oggi sede dell'ASL Roma 1 e del municipio XIV.
In seguito alla legge Basaglia del 2000, l'istituto sanitario per il trattamento delle malattie mentali è stato smantellato, ma ancora sono presenti gli elementi che rendevano questo complesso una piccola città.
Malgrado ci sia tanto da parlare su questa struttura, al suo interno uno dei padiglioni è adibito a "Museo Laboratorio della Mente". Oggi voglio parlarvi di questo scorcio di Roma, che ha vissuto uno dei suoi momenti più bui.
Sono stata solo una volta al "Museo Laboratorio della Mente" e mi sconvolse talmente tanto che non ho mai avuto il coraggio di tornare per una visita in età adulta. Il museo multimediale offre uno spaccato sulla società italiana di neanche trent'anni fa, dove si tendeva a reprimere e a nascondere i diversi, i disturbi mentali e i loro "portatori". Se qualcuno era ritenuto pericoloso, veniva internato. Venivano privati di tutto, dagli indumenti agli oggetti personali. Per mangiare, potevano usare solo dei cucchiai perché ogni altro utensile poteva trasformarsi in un'arma. Nella visita, il pubblico viene guidato in percorsi di comunicazione interattiva per capire il problema della sanità mentale. Nel piccolo corridoio iniziale che porta alle varie stanze ci sono dei pannelli bianchi e, al passaggio di una persona, delle ombre umane sembrano lanciarcisi contro, battere i pugni o seguirci, impersonando per un istante come si sarebbe potuto sentire un visitatore ad entrare in un luogo del genere.
Ricordo perfettamente che, quando al liceo andai a farvi visita, rimasi sorpresa dei due esperimenti che ci fecero fare: il primo riguardava il "sentire le voci", il secondo la percezione visiva. Vi era un tavolo di legno piccolo, con due pulsanti, su cui andavano poggiati i gomiti e portate le mani sulle orecchie: l'esperimento consisteva nell'ascoltare i suoni che si propagandavano attraverso le ossa e sentire una banale lista della spesa in testa, come quando si ascolta della musica, ma senza altro che le nostre mani come veicolo di suono.
Il secondo esperimento riguardava la "Camera Ames", una stanza in cui il sistema visivo viene tratto in inganno: uno specchio posto su un lato della stanza ci riflette, ma la stessa si muove con uno sfasamento, a simboleggiare il mutamento della memoria.
Racconti e video fanno entrare il visitatore nella mente del paziente. La visita al museo continua con l'approccio ad alcuni locali tipici dei manicomi, come stanze asettiche, camere di contenzione, la "fagotteria" (dove venivano lasciati averi e vestiario dei pazienti che venivano internati). Il tutto sembra in netto contrasto con il parco rigoglioso che circonda i vani padiglioni, parco a cui era proibito l'accesso ai malati, se non in rari casi. Ci si rende conto che una simile esclusione dal mondo esterno de-umanizzava sia i malati, abbandonati a loro stessi o sottoposti a trattamenti di tortura, ma anche degli infermieri che, per difesa psicologica, divenivano strumento di repressione manicomiale, come scrisse Adriano Pallotta in "Scene da un manicomio. Storia e storie del Santa Maria della Pietà". Ogni padiglione del parco aveva il tipo di degente, dai criminali agli agitati, dai bambini ai suicidi, dagli schizofrenici agli affetti da demenza senile.
Il museo della Mente ha un forte impatto emotivo, in cui trasuda la sofferenza ma, soprattutto, si entra in empatia con i pazienti e le loro allucinazione. È una mostra che deve essere vista perché i disturbi mentali non hanno la giusta posizione nella coscienza collettiva, troppo spesso sottovalutati o repressi. La storia ci insegna quanto di sbagliato ci sia dentro.
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