Il “metaverso” ha radici ben più antiche di quanto possiamo immaginare: era il 1838 quando il fisico britannico Charles Wheatstone brevettò il suo “Stereoscopio”: un sistema che, mediante specchi, dà l’illusione di tridimensionalità (un po’ come funziona l’occhio umano, in cui i due offrono una visione parziale e il cervello unisce il tutto). Il meccanismo è simile a quello dei moderni visori VR, che mostrano un’immagine in 3D molto realistica. Per quanto riguarda il lato terminologico, quindi proprio la parola “Metaverso” dobbiamo andare avanti di qualche anno da Wheatstone, fino al 1992, quando Neal Stephenson pubblicò il suo “Snow Crash”, un romanzo postcyberpunk in cui si parla di Metaverso: una realtà virtuale condivisa grazie a internet, in cui il proprio avatar viene rappresentato in tre dimensioni, in cui chiunque può realizzare in 3D negozi e uffici visitabili dagli utenti. Negli anni, il concetto di Metaverso ha visto la nascita di videogiochi (un esempio sono i MMORPG come “Second Life” e “Pokemon Go”) e degli NFT.
Ci sono vari “mondi” digitali e le principali piattaforme sono Decentraland, Sandbox e Stangeverse. La prima unisce la potenza dei videogiochi a quella dell’area social, in cui gli utenti possono costruire edifici, scambiare terre, oggetti, beni e servizi inscritti nella blockchain (ne avevamo parlato sull’articolo degli NFT, quindi sono unici e autentici) e la moneta di scambio è il token MANA. Samsung ha lanciato il suo Samsung Galaxy S22 in questo universo. The Sandbox è un metaverso “sabbioso”, in cui la sabbia digitale serve per costruire mondi virtuali. È un mondo in costruzione, in cui società come Atari, The Smurfs (i Puffi) e The Walking Dead hanno ricreato giochi con i personaggi del loro brand. Anche Adidas ha già un suo lotto e, come Nike, ha lanciato NFT esclusivi per la personalizzazione dell’avatar. Stangeverse è una piattaforma per esperienze “immersive” che ha lanciato “Muse: Enter the Simulation”, uno show virtuale per assistere al concerto della band di Matthew Bellamy nella sua totale completezza: sedici telecamere ad altissima definizione hanno catturato la performance a Madrid nel 2019 e il tutto è stato sistemato in Stageverse per l’esplorazione dell’utente, tramite smartphone (sia IOS che Android) o con l’Oculus (il visore).
E ora vediamo i pro e i contro di questo Metaverso: da una parte, questo nuovo mondo permetterà di superare delle barriere sociali al momento insormontabili. Basti pensare a una persona con disabilità che ha difficoltà a uscire di casa: con questa realtà aumentata potrebbero non isolarsi più. Si potranno organizzare mostre, concerti, meet, viaggi semplicemente utilizzando un visore o connettendosi ad apposite app. Nascono così nuovi posti di lavoro per professioni come il blockchain developer, il content creator, il community manager e simili. D’altro canto, però, questo cyberspazio ha altrettanti lati negativi: se da un lato può appiattire le barriere fisiche, dall’altro potrebbe accentuare le disuguaglianze sociali per coloro che, per problemi economici o tecnologici, non potranno accedere al Metaverso. Verrebbero quindi esclusi da esperienze lavorative o sociali in generale. Non da meno, la quantità di dati sulla persona sarà enorme, il che permetterà il monitoraggio costante degli utenti, da quello che sono, a quello che vogliono fino a quello che sognano. Ultimo, ma non per importanza, estremisti e terroristi potrebbero usare questi mondi per il reclutamento e, grazie a esperienze immersive, essere un terreno ancora più florido.
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