Quando la Fazi Editore ci ha mandato la sinossi dell’ultimo romanzo di Patricia Engel: “Paese Infinito”, avevamo già capito che sarebbe diventato uno di quelli che più sentiamo nostri.
È stato veramente difficile leggerlo in anteprima - esce in tutte le librerie proprio oggi, 12 maggio - perché avremmo voluto condividere interi paragrafi sui social, per quanto li sentiamo vicini al nostro pensiero.
È stato veramente difficile leggerlo in anteprima - esce in tutte le librerie proprio oggi, 12 maggio - perché avremmo voluto condividere interi paragrafi sui social, per quanto li sentiamo vicini al nostro pensiero.
Avendo scritto ben due articoli relativi alla canzone di John Lennon “Imagine”, (il secondo lo potete leggere cliccando qui) si può già immaginare quanto i confini territoriali per noi siano veramente privi di significato, così come qualsiasi cosa cerchi di creare divisioni. Quando abbiamo letto di Talia e della sua famiglia, divisa tra due realtà diverse (quella colombiana e quella statunitense) ci è scattato dentro qualcosa: se tutti venissero a conoscenza delle storie degli immigrati e dell’incoerenza dei paesi che sostengono di ospitarli, forse riusciremmo ad aprire gli occhi e a comprendere che nessun paese al mondo è davvero così distante dal sentimento d’amore che accomuna tutti gli uomini.
Gli Stati Uniti d’America, lo sappiamo bene, sono famosi per dare al mondo un’immagine che non li rispecchia. Per chi non ci vive è il paese delle opportunità, della libertà, del continuo rinnovamento. Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo pensato a quanto sarebbe bello poter vivere negli States, o nel Regno Unito, immaginando i due paesi anglofoni come regni dove tutto è possibile, dove l’ultimo arrivato può diventare il primo. La realtà, però, è ben diversa.
La famiglia di Talia si trasferisce dalla Colombia agli Stati Uniti quando lei ancora doveva nascere. I genitori – Mauro ed Elena – sono scappati da un paese che amavano come una madre per trovare le giuste opportunità e crescere al meglio che potevano la loro primogenita: Karina. In pochi anni si aggiungono alla famiglia altri due figli: Nando e Talia, ma nonostante la grande gioia per una famiglia allargata, l’ansia di essere scoperti come clandestini cresce giorno dopo giorno.
Mauro ed Elena sono esseri umani trattati nel peggiore dei modi, costretti a condividere spazi ristretti con altre famiglie e sopportare ogni umiliazione con il silenzio. Nessuno di loro può alzare la testa per orgoglio perché c’è sempre presente l’ombra del rimpatrio.
Attraverso varie vicissitudini, Mauro sarà costretto a tornare a Bogotà, per poi essere raggiunto da Talia, così piccola che non manterrà ricordi vividi del paese in cui è nata, né della madre o dei fratelli.
L’unico legame tra membri familiari divisi sono le videochiamate, almeno finché il segnale e gli impegni quotidiani lo permettono.
Nel mentre seguiamo l’odissea di Talia per raggiungere la madre, veniamo a conoscenza della loro storia famigliare, e di come gli Stati Uniti trattino chi non è loro cittadino per nascita. Episodi di razzismo e di rabbia sono all’ordine del giorno in un Paese dove gli stessi abitanti si odiano tra loro. Gli anglofoni puntano il dito sugli stranieri, rei di parlare un’altra lingua, di appartenere a un’altra cultura e vengono ingiustamente accusati di portare la criminalità in un paese civile. Ma come può un paese definirsi civile quando permette ai suoi stessi cittadini, persone comuni, di possedere armi come se nulla fosse?
Che differenza c’è, di base, tra le bande ispaniche e gli adolescenti bianchi che irrompono nelle scuole e fanno strage, causando in modo random la morte dei loro stessi compagni di corsi? Perché un cittadino americano può permettersi il lusso di insultare e picchiare il proprio vicino, solo perché nato in un altro posto, o figlio di immigrati? Perché in questo caso l’aggressore per la giustizia statunitense rimane innocente e la vittima è trattata come il peggiore dei criminali?
Non possiamo negare che noi per prime siamo cadute nella trappola dei confini d’appartenenza, soprattutto quando eravamo adolescenti o ancora mentalmente immature quanto basta per essere convinte esista una differenza tra noi e chi veniva da oltralpe. Crescendo, però, tramite le esperienze di vita e gli studi intrapresi, abbiamo capito quanto ogni discrepanza sia totalmente illusoria.
“Paese Infinito” pone le basi per l’inizio di un pensiero che dovrebbe maturare nelle menti di ogni individuo appartenente alla razza umana: qual è la vera differenza tra me e qualcuno che viene da un altro paese? Perché se andiamo oltre al retaggio culturale, scopriamo che siamo tutti figli dello stesso Universo, tutti noi siamo spinti e agiamo attraverso la forza dell’amore.
Di questi tempi sappiamo bene che una guerra può scoppiare in casa nostra da un momento all’altro, e non saremmo forse i primi a cercare un riparo, dovesse costarci anche la vita?
Che senso ha, quindi, tenere ancora confini, militari armati di mitra alla dogana, quando grazie a un semplice telefono si può parlare per ore con chi sta dall’altra parte del pianeta?
Non sappiamo se questa recensione ha davvero un filo logico, crediamo però che ogni domanda qui posta trovi le risposte proprio tra le pagine di “Paese Infinito”, che vi consigliamo assolutamente di acquistare!
Che differenza c’è, di base, tra le bande ispaniche e gli adolescenti bianchi che irrompono nelle scuole e fanno strage, causando in modo random la morte dei loro stessi compagni di corsi? Perché un cittadino americano può permettersi il lusso di insultare e picchiare il proprio vicino, solo perché nato in un altro posto, o figlio di immigrati? Perché in questo caso l’aggressore per la giustizia statunitense rimane innocente e la vittima è trattata come il peggiore dei criminali?
Non possiamo negare che noi per prime siamo cadute nella trappola dei confini d’appartenenza, soprattutto quando eravamo adolescenti o ancora mentalmente immature quanto basta per essere convinte esista una differenza tra noi e chi veniva da oltralpe. Crescendo, però, tramite le esperienze di vita e gli studi intrapresi, abbiamo capito quanto ogni discrepanza sia totalmente illusoria.
“Paese Infinito” pone le basi per l’inizio di un pensiero che dovrebbe maturare nelle menti di ogni individuo appartenente alla razza umana: qual è la vera differenza tra me e qualcuno che viene da un altro paese? Perché se andiamo oltre al retaggio culturale, scopriamo che siamo tutti figli dello stesso Universo, tutti noi siamo spinti e agiamo attraverso la forza dell’amore.
Di questi tempi sappiamo bene che una guerra può scoppiare in casa nostra da un momento all’altro, e non saremmo forse i primi a cercare un riparo, dovesse costarci anche la vita?
Che senso ha, quindi, tenere ancora confini, militari armati di mitra alla dogana, quando grazie a un semplice telefono si può parlare per ore con chi sta dall’altra parte del pianeta?
Non sappiamo se questa recensione ha davvero un filo logico, crediamo però che ogni domanda qui posta trovi le risposte proprio tra le pagine di “Paese Infinito”, che vi consigliamo assolutamente di acquistare!
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