Sapete che scegliamo i libri da leggere in base alle sensazioni che riceviamo quando tocchiamo la copertina, o sfogliamo le pagine. Può apparire una forma di preferenza superficiale, ma la verità è che non abbiamo mai sbagliato: ogni romanzo è stato un nostro insegnante, tutti ci hanno fatto conoscere parti di noi stesse oscure, oppure hanno approfondito quel viaggio interiore che tanto amiamo compiere.
Non a caso passiamo le ore in libreria, dove poteste vederci camminare per gli scaffali a occhi chiusi, o letteralmente a parlare con i libri esposti.
Per “Violeta” di Isabel Allende, invece, è stato un po’ diverso. Conoscendo il nome della scrittrice siamo partite più sul sicuro, prendendo il libro appena uscito, ma lo abbiamo letto qualche mese dopo, quando la sua copertina ha cominciato a ossessionarci: la vedevamo praticamente ovunque.
Violeta non risparmia nulla dei suoi racconti: l’infanzia, il rapporto con i genitori e i fratelli, la vicinanza con la sua istitutrice inglese, la crisi economica degli anni trenta, e anche quando affronta l’adolescenza non censura passioni, intrighi e amori tossici. Diviene adulta, vede il suo paese affrontare i gravi problemi legati alla dittatura solo quando la riguardano sul serio e si chiede a cosa sia effettivamente servito il suo menefreghismo nei confronti della politica, quando le donne accanto a lei si sono sempre battute per un cambiamento.
Ed è proprio su questo punto che Violeta – o l’Allende – vuole farci riflettere: quanto viviamo nel presente? Siamo sempre concentrati sul quello che sarà che non entriamo mai del tutto in una situazione. Incontriamo le persone, ci preoccupiamo di renderle come sono nella nostra mente, senza fermarci davvero a conoscerle. Violeta si sposa, ha figli, eppure comincia a comprendere i comportamenti degli uomini che ha amato solo quando se ne è completamente distaccata.
Lei, che ha conosciuto la povertà da bambina perché la famiglia aveva perso ogni agio economico, fa l’errore di pensare più al lavoro, a una stabilità che le possa ridare ciò che ha avuto per pochissimi anni, e perde per strada pezzi importanti dei suoi rapporti: la crescita dei figli. Violeta è una donna che non si ama, né si odia. È come se pensasse di vivere semplicemente perché è nella routine quotidiana: famiglia, casa, lavoro, svaghi quando servono. Spesso crea problemi per sentirsi viva, ma così facendo gli stessi problemi si aggravano, tanto che cade nella disperazione quando si rende conto di essere completamente impotente.
Il tempo passa, lei comincia a diventare matura e sulla soglia dei suoi quarant’anni, grazie alle distruzioni della sua vita, comincia la terapia con uno psicologo, iniziando lentamente a guardarsi dentro. Diventa più forte, più indipendente, più distaccata dalle situazioni e, ironia della sorte, più libera e consapevole. Grazie a questo distacco, lei sa come aiutare se stessa e gli altri, quindi a dare un vero senso alla vita.
In vecchiaia insegna che la vita si svolge solo ed esclusivamente nel momento presente, lo stesso che perdiamo quotidianamente. Seppur provandoci, difficilmente viviamo il momento in ogni sua sfumatura, dando troppa importanza all’Ego, quella vocina che insinua dubbi in noi, che ci fa tentennare o crea scenari immaginari regalandoci ansia e frustrazione perché: “la vita non è come dovrebbe essere, quindi odiala, affrontala, combattila”.
La verità è che la vita è esattamente come deve essere, e l’unico cambiamento che possiamo fare riguarda come noi la percepiamo. Abbiamo sempre due scelte davanti: negare ciò che ci circonda, o accoglierlo e accettarlo. La decisione che prendiamo farà la differenza, perché ci darà la possibilità di viverla in maniera marginale, con l’occhio sempre puntato sull’esterno e il giudizio per gli altri, o di viverla sul serio, fino in fondo. È la stessa differenza tra chi si butta in mare e si gode il bagno, e chi resta semplicemente a guardare gli altri farlo.
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