mercoledì 10 maggio 2023

#Racconti: It didn't pass - Terza Parte

Attenzione: questa è una fan-fiction sulla serie tv Fleabag, quindi se ne raccomanda la lettura solo a chi l’ha conclusa, per evitare eventuali spoiler.


Link della prima parte.

Link della seconda parte
«Non capisce Padre, la festa del quartiere è tra sole tre settimane e ancora non abbiamo prenotato nessun addobbo! Mr. Kelsinky è stato molto caro a badare a queste cose negli ultimi cinquant’anni, ma non lo vede? Ormai è andato, ha perso il senno. Mia nipote, cara ragazza, ha da poco iniziato l’attività, non capisco perché non possiamo chiedere a lei…»
Il discorso della signora Rosebund appare del tutto sensato alle orecchie degli altri parrocchiani che, pensando di non essere notati, hanno rallentato le loro attività solo per ascoltare quello che ha da dire la Rosebund e sperare che il parroco acconsenta. Il Prete, però, non riesce a seguirla e accelera il passo tra l’oratorio da sistemare dopo i giorni di pioggia e il retro della Chiesa, dove sono presenti tutti gli attrezzi necessari.
«Oh buon Padre!» la voce gracchiante della Rosebund riecheggia anche tra il frastuono di vecchi rottami che cadono uno sopra l’altro. «Tutto apposto, padre?»
«Sì,» della polvere gli cade sopra i capelli, facendoli ingrigire molto di più di quanto abbia fatto lo scorrere del tempo. «Sì. Tutto okay». Sospira, non vuole ancora uscire allo scoperto, preferisce godersi il silenzio preoccupato della Rosebund. Ma sa anche che non può nascondersi a lungo, dovrà riaffrontarla, prima o poi. Si passa una mano sulla testa, poi sulla camicia nera, ormai anch’essa con residui evidenti di polvere.
Torna alla luce nuvolosa del pomeriggio, la Rosebund ancora attonita davanti al magazzino; il rumore da fuori doveva essere sembrato più grave della realtà, perché la vecchietta risulta pallida nonostante il suo bel volto grassoccio e pesantemente truccato.
«Sto bene, davvero». È solo alla vista del prete che la Rosebund può tirare un sospiro di sollievo, ma prima che possa ripartire con il suo inno alla nipote, lui la ferma. «Signora Rosebund, lei ha ragione da vendere, ma non posso privare il Signor Kelsinky della sua unica gioia annuale. Faccia così: dica a sua nipote…»
«Johanna.» la Rosebund si affretta a riempire l’esitazione.
«Johanna, di lavorare alla festa. A Kelsinky diremo che le farà da assistente, così saranno tutti felici e contenti.»
«Oh, grazie padre! Lei è un santo». Spinta da un moto di affetto più continentale che inglese, la Rosebund stringe le braccia di lui, e torna a lavorare all’oratorio impettita e con un sorriso sornione stampato in viso.     
“Chissà che avrà davvero in mente”.    
Il Prete alza lo sguardo oltre il muretto dell
’oratorio, sulla strada, come attirato da una qualche forza che lo indirizza verso una donna dall’altra parte del marciapiede, in attesa dell’attraversamento pedonale.
Capelli corti, pettinati come ormai un secolo fa, magra, alta, quella camminata veloce ma incerta.
«No!» urla a pieni polmoni, con la Rosebund che si gira di nuovo preoccupata.
«Ho dimenticato una cosa», liquida gli aiutanti in quel modo e si appresta a grandi passi verso il suo appartamento al piano superiore.

“Non pensare, non pensare, non pensare”.

“Ma era lei? Era lei, sul serio? Che ci fa qui? Aveva promesso”.
“Non pensare, non pensare, non pensare”.
Arriva al suo appartamento fingendo di cercare qualcosa, non sa il perché di tale comportamento, visto che lì non ha testimoni. Forse vuole solo per ingannare il cervello con un’altra azione così da dimenticarla.
“Rimani centrato, rimani centrato…” inspira ed espira. Inspira ed espira. Ma più i secondi passano, più il cuore accelera i battiti.
“Vai da lei”.
“Inspira ed espira”.
“Vai! Magari ha bisogno di te!”
“Inspira ed espira”.
“Ascoltami! Vai!”.

Riscende le scale con la stessa fretta di prima, questa volta, però, volta a sinistra, entrando in Chiesa. I passi riecheggiano per la navata, amplificati dal legno, dal silenzio e da uno spazio scarno di mobilia, se non si contano i confessionali. Un ricordo che scaccia prepotentemente. Arriva a pochi metri dall’entrata, quando la porta si apre e il suo cuore si ferma.
“È lei”.
«Avevi promesso».
«Già. Sono sposata e ho un bambino. Siamo fuori pericolo». L’ultima frase un sussurro, vista la presenza di una vecchietta intenta a mormorare il suo rosario.
«È sorda, comunque. Perché sei qui? Ti sei persa? Cerchi la redenzione? Vuoi confessarti?»
Un lampo di malizia negli sguardi entrambi, con il volto che non vuole neanche adesso, come cinque anni fa, nascondere l’attrazione reciproca.
«Stamattina mi sono estraniata. Non so se ti ricordi, io…»
«Mi ricordo». Il Prete le sorride e lei riprende sicurezza.
«Non mi succedeva più da tempo, da quando io e te… sai».
«E perché sei qui?»
«Tu lo sapevi. Tu mi vedevi andare via. Me lo hai sempre chiesto, io ho sempre negato, ma io sapevo che tu sapevi e mi terrorizzava. Come facevi? Come mi hai guarita?»
«Io non ti ho guarita». Il Prete scuote la testa ridendo.
«Sei un prete, sai fare queste cose…»
«Non sono un medico».
«Beh, non siete anche voi che potete guarire i malati, ridare la vista ai ciechi, risorgere i morti?»
«Sei un po’ confusa».
«Voglio sapere come hai fatto».
«Perché?»
«Perché ho paura». Gli occhi di lei si bagnano di lacrime, così lui può solo farla accomodare su una panca e sedersi al suo fianco.

«Paura di cosa?»

«Matt, mio marito…»
«Lo avevo immaginato. “Matt”,» le fa il verso. «tipico nome da marito». Le sorride prendendola in giro, un po’ per alleggerire la situazione e un po’, un bel po’, per nascondere quella fitta di gelosia che lo ha colpito al petto come una lama di un nemico spietato che ti trapassa con la pura intenzione di mantenerti in vita, solo per vederti soffrire.
Lei sorride, annuendo a testa bassa, con la sensazione di aver sbagliato tutto.
«Lui non mi ha conosciuta prima, non mi ha mai vista andare via. Se se ne accorgesse? Se tornassi a essere quella che manda tutto a putt… posso dire parolacce qui?»
Il Prete alza le spalle come a dire: “Se vuoi…”
«Se rovinassi tutto?» Lo guarda supplichevole.
«Beh. Io, non so come ho fatto ad accorgermene. Tu… tu sparivi. Un attimo eri con me, l’attimo dopo eri come assente, senza segnale, poi tornavi e negavi. È una cosa che mi mandava ai matti, e ancora ci vado, se ci ripenso. Ora, per, esempio, non sei mai andata via. Sicura non dipenda da te? Dalla tua voglia di evadere? Di dare un senso a ciò che non puoi controllare?»

“Colpita”.


«Ecco, ora. Ora lo hai fatto. Dove sei andata?»

«Da nessuna parte». Stavolta non ha utilizzato una bugia. «Non vado mai da nessuna parte, anche in passato. È una sensazione, una voce fuoricampo, come se tutta la mia vita fosse un film, o una serie tv. Mi sdoppio e commento ciò che accade con un pubblico. È da pazzi…»
«Credo a una donna che partorisce e rimane vergine».
«E alla creazione dell’intero universo in una settimana.»
I due sorridono, ricordando le serate passate. Cinque anni. Eppure si stanno parlando come se si fossero visti fino al giorno prima.
«Non è da pazzi. Hai cercato una via d’uscita nel tremendo dolore che stavi vivendo. La perdita di tua madre, della tua migliore amica, sei sempre stata l’unica che tentava di tenere unita la famiglia, con membri che palesemente poco ti hanno mai considerata. Se vedevi la tua vita come una serie tv, allora non era reale, non poteva farti del male. Hai messo uno schermo per proteggerti. Dovresti chiederti perché senti il bisogno di evadere ora.».

Lei guarda negli occhi il Prete.

“Cavolo”.

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