Il momento tanto atteso è arrivato. Oggi 24 maggio arriva nelle sale italiane uno dei live action più contestati nell’ultimo periodo: La Sirenetta. Fin dal 2016, quando era stato annunciato il progetto, reduci di tutti i vari tentativi proposti da Disney stessa, sembrava che ogni singola anticipazione scaturisse motivo di polemica. Dalla scelta di Halle Bailey come interprete di Ariel, al più recente annuncio di Mahmood come doppiatore per Sebastian, era come se il pubblico prendesse sul personale. Che fosse molto rumore per nulla?
Sorvoliamo sulla trama, la storia la conosciamo tutti e ripercorre per filo e per segno ciò che è possiamo ricordare dal film d’animazione del 1989. Ci sono delle piccole aggiunte che non vogliamo spoilerarvi per permettervi la visione di una pellicola che gioca sull’effetto nostalgia. Parliamo quanto più del cuore di ciò che andremo a vedere.
Premessa, questo è un lavoro molto più simile a ciò che è stato fatto con “Aladdin” piuttosto che quello realizzato con “La Bella e la Bestia” o “Mulan”. Del resto il regista, Rob Marshall, è colui che ha diretto il sequel di “Mary Poppins”, dimostrandosi capace di realizzare un buon film in grado di ripercorrere le corde di un classico. Ma abbiamo aperto questa recensione citando tutte le polemiche che si sono susseguite in questo periodo, di conseguenza vogliamo anche sottolineare quanto siano infondate.
Siamo collocati nella Foresta Pluviale, è pur vero che il cielo sembra anche fin troppo poco terso per non sembrare Inghilterra, ma sorvoliamo sulle location del set. Tra palme, sabbia e castelli, siamo dunque in un contesto ben specifico che, di conseguenza, giustifica la scelta fatta sulla sua protagonista. Elemento che vien reso ancor più forte dal pattern genetico di tutte quante le sue sorelle: “dissimili”, ma unite a quanto pare dalla stessa madre e dallo stesso padre. Sì, stiamo parlando di un pull genetico decisamente variegato, ma che concettualmente si avvale dell’idea che sono le sirene dei sette mari e che, di conseguenza, hanno caratteristiche tipiche dei luoghi di appartenenza. Bellissimo modo per poter permettere quanta più eterogeneità possibile. E possiamo dirlo? Il colore della pelle di Ariel passa totalmente in secondo piano quando lei sembra totalmente asciutta sotto l’acqua o quando appare incollata sulla scena marina. Ci sono ben altri elementi dissonanti che la scelta compiuta da Disney. Tra le altre attrici, vogliamo fare una menzione d’onore a Simone Ashley giusto per tirare in ballo un volto noto agli amanti di Netflix.
Tra le note stonate non possiamo fare a meno di contare il doppiaggio di Mahmood. Non che il cantante abbia fatto un pessimo lavoro, ma risulta quasi parodistico e macchiettistico in questa sua veste. È quasi come se avesse voluto ricalcare il doppiaggio originale, che non gli si addice. Non sappiamo se siano state scelte del direttore di doppiaggio, ma la parte migliore è quando ha eseguito la canzone “Il grande scoop”. Va sottolineato che Alessia Amendola potrebbe fare qualsiasi cosa con la sua voce e sarebbe sempre e comunque convincibile.
Che i testi nuovi abbiano la cifra stilistica di Lin-Manuel Miranda è palese fin dalla prima nota. Non è necessario che vi sia la sua firma sulla colonna sonora per poterlo riconoscere. Proprio “Il grande scoop” risuona del suo rap e della sua bravura nella composizione dei testi.
Il tema centrare, dunque, è stato leggermente spostato. Non abbiamo più un cercare di inseguire la propria ossessione, anche se è da ammettere che in certi punti le espressioni di Ariel premono forte sulla carta stalker. Ci muoviamo sulla linea dello scontro generazionale e sull’incapacità dei genitori di venire a patti con la sindrome del nido vuoto. Temi che, sì, potevamo trovare all’interno dell’originale d’animazione, ma che qui vengono resi ancor più forti dai sentimenti che accomunano i due giovani ragazzi. Ariel si infatua di Eric (Jonah Hauer-King) per la sua voglia di viaggiare, di vedere il mondo e per il suo sentirsi ingabbiato in un ruolo che non gli piace. L’erede al trono vuol far parte del popolo e scoprire nuove culture, la sua fame di conoscenza lo rende simile a ciò che Ariel ha inseguito per tutta la vita. Entrambi, infatti, hanno la propria grotta di tesori. Questo non vuol dire che ci meritavamo la canzone cantata da lui che, a nostro avviso, sarebbe potuta essere un tantinello più corta.
La cosa più convincente? Sicuramente Melissa McCarthy nei panni di Ursula. Meravigliosa in entrambe le sue malvagie forme e crudele al punto giusto per poter spaventare i più piccini in sala. La sua follia è trascinante e cantare “La canzone di Ursula” è quasi inevitabile, quindi un applauso va indubbiamente fatto anche a Simona Patitucci. Scelta interessante è quella fatta su Simona in quanto la doppiatrice e cantante è principalmente nota per aver prestato la sua voce proprio ad Ariel nel 1989.
Com’è facile intuire non ci sentiamo di bocciare in pieno questo film, ma neanche di promuoverlo. È rimandato a dopo l’estate. Anche perché ci muoviamo sempre nell’ottica di live action finalizzati al cercare di detenere l’immaginario Disney ben ancorato alla casa di Topolino. Ci sono elementi che fanno un po’ storcere il naso, ma altri che non permetteranno in molti di esser obbiettivi.
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