In attesa della nuova stagione di Bridgerton, Shonda e Netflix appagano la curiosità dei “Cari lettori” con la serie spin-off su Queen Charlotte. Arrivata da appena una settimana sulla piattaforma di streaming, si è subito classificata tra le prime posizioni per watch time, segnando un successo col suo disclaimer inziale.
“Cari Gentili Lettori,
Questa è la storia della Regina Carlotta di Bridgerton.
Non è una lezione di storia.
È finzione ispirata ad eventi reali.
Tutte le libertà che l’autrice si è concessa sono da ritenersi intenzionali.
Buona visione.”
Un piccolo saluto che mette le mani avanti su tutto ciò che finora è stato criticato aspramente su questa serie. Del resto, ormai siamo nell’epoca del chi urla più forte al politicamente corretto e, automaticamente, è necessario metter pace al pubblico per poter sapere cosa sta per guardare. È pur vero che, in questo caso, classificare quest’opera come “fantasia” è decisamente necessario, soprattutto nel caso in cui la storia non fosse nota ai più.
La serie prende ispirazione da fatti reali, perché si colloca all’interno di un periodo storico ben preciso. Che lo faccia per moda, visto il successo delle serie in costume, è un cruccio al quale non ci può appellare. Siamo, dunque, all’interno di una sorta di passato utopistico all’interno del quale l’integrazione la fa da padrona. Per certi versi ciò appare forviante, come del resto avevamo avuto già modo di sottolineare con la recensione fatta sulle prime due stagioni di Bridgerton. Dunque, ci sentiamo di sottolineare l’importanza di studiare la storia prima di approcciarsi a un’opera di fantasia per evitare di credere che ciò che sia avvenuto sia reale e, considerata tutto l’allarmismo per gli spoiler che era emerso durante l’ondata di Victoria, ci sentiamo in dovere di raccomandarvi dei testi storici.
Quello trattato da Shonda è un periodo tutt’altro che inclusivo, basti pensare che siamo in pieno regime coloniale e l’Inghilterra era più intenzionata a sfruttare la ricchezza delle sue colonie piuttosto che donare terre e titoli alla nobiltà presente in quei paesi. L’India e l’Africa sono stati a lungo territori sfruttati e dominati di coloni e, in un certo senso, va ricordata anche l’importanza delle lotte che sono state attuate per poter allontanare gli inglesi da quelle terre. Quindi se non si è a conoscenza di quei fatti, approcciarsi a una serie simile potrebbe essere forviante, ma prendendola per un’opera di fantasia ci sono dei punti che appaiono interessanti.
Con questo spin-off abbiamo la possibilità di scrutare più nel dettaglio la precedente generazione che accompagna i protagonisti della serie principale. Oltre al passato della Regina e di Re Giorgio, infatti, abbiamo modo di conoscere Lady Dambury e Lady Bridgerton. Elementi che ci permettono di contestualizzare ancor di più i loro rapporti all’interno della serie principale, facendoci cogliere aspetti della loro amicizia che altrimenti sarebbero rimasti taciuti.
Quella di Queen Charlotte è una storia tutta incentrata sull’universo femminile, cosa che rimarca ancor di più l’intento celato dietro Bridgerton. Il pettegolezzo diviene arma potente per poter sovvertire le sorti delle donne che, altrimenti, resterebbero ingabbiate nel loro ruolo di mogli e madri. In questo caso, la nobiltà e il contesto storico fungono da vera e propria gabbia sociale. Un pretesto, dunque, per poter raccontare delle difficoltà che, in realtà, sono presenti tutt’oggi e che si muovono in maniera meno palese. L’età di Re Giorgio è usata come pretesto narrativo per creare metafore e parallelismi rendendo più forti e determinanti alcuni passaggi.
Bridgerton funziona proprio grazie all’uso che viene fatto dei costumi e degli usi di quell’epoca fatta di apparenza tanto quanto la nostra. Un’epoca governata dal gossip e dallo scandalo, in cui le malattie mentali venivano (e vengono) taciute o l’amore non può esser vissuto in piena libertà. È pur vero che si parla fin troppo spesso di amore, ma in questo spin-off abbiamo anche modo di osservare il semplice adempimento contrattuale che fino a poco tempo fa era l’amore. Un semplice obbligo per poter riuscire a sollevare la propria situazione sociale ed economica. Fidatevi che all’epoca erano molto più frequenti matrimoni come quello di Lady Dambury piuttosto che quelli dei Visconti e dei Duchi ai quali la serie ci sta lentamente abituando.
Questo spin-off si connota di un sentimentalismo molto più intenso e sensato di quanto non sia stato fatto nelle precedenti stagioni. Carlotta e Giorgio sono una combo di pazienza e di ascolto precedentemente mai visti. Del resto il loro passato collima continuamente col presente dei due e Carlotta deve essere quella che obbliga i figli a concepire un erede per la corona. Abbiamo modo anche di osservare le conseguenze che quella corona porta con sé, elementi che tutt’oggi sono ben poco chiari quando si parla di monarchia. Ma resta comunque una serie tv fatta da americani, per un pubblico internazionale che lascia sullo sfondo le vicende come “i carichi di tea perduti in mare”. Se l’Inghilterra del diciottesimo secolo fosse stata così inclusiva come nella serie, ci saremmo risparmiati molti degli eventi che realmente sono accaduti. Il che fa ancor più sorridere se si pensa che il tutto viene archiviato e creato come forma di esperimento. L’integrazione come esperimento, non fa un po’ rabbrividire?
Quindi sì, guardiamoci Bridgerton, ma non dimentichiamoci della storia. Non cancelliamo gli errori del passato perché senza di quelli oggi non avremmo le idee che abbiamo e la società ciclicamente avrebbe commesso quegli orrori. Non cancelliamo utopicamente cosa è stato, ma immaginiamo cosa potrà essere il mondo.
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