In arrivo oggi, in tutte le librerie, edito Fazi Editori, troviamo: Gli unici indiani buoni di Stephen Graham Jones. Il romanzo, composto da trecentocinquanta due pagine, ci porta all’interno di una riserva indiana tra tradizioni e antiche leggende.
Lewis, Gabe, Ricky e Cassidy sono quattro giovani indiani cresciuti insieme in una riserva ai confini col Canada. Tra il gelo e le battute di caccia, la loro gioventù e passata da un guaio all’altro fin quando il loro legame inizia a spezzarsi. Non si esce illesi dalla riserva e se ci si prova, si finisce col tornare sui propri passi. Ricky, colui che ha cercato di andare più lontano degli altri, ha arrestato la sua corsa quando è stato pestato da un gruppo di ubriachi dopo il turno di lavoro. La versione ufficiale non racconta nulla di nuovo, una rissa tra nativi americani e bianchi. Ma forse la verità non è come sembra, forse c’è qualcosa di più profondo e di nascosto. Una realtà che reclama il sangue con una distanza di circa dieci anni.
I ragazzi sono cresciuti da quell’evento che li ha visti coinvolti dieci anni prima, un’avventura che si sono lasciati alle spalle con tutti i disastri di gioventù. Quando si addentrarono nel territorio di caccia riservato agli anziani, uccidendo nove wapiti (una specie di cervo), non credevano che la più giovane del branco fosse gravida. Quella battuta di caccia torna nelle loro memorie, adesso che uno dei loro amici è scomparso. Torna come un macigno sulle loro coscienze coinvolgendo per primo Lewis, colui che aveva fatto una promessa quel giorno.
E se, dunque, l’unico indiano buono è un indiano morto, il destino dei quattro amici è ben presto segnato. In un’adrenalinica caccia all’uomo ciò che si dispiega, pagina dopo pagina, è un horror psicologico fatto di ricerca della giustizia. La natura, in questo caso, prende vita tra le leggende e tradizioni degli indiani. Sussurri che nei secoli si sono susseguiti e adesso sono tornati per rivendicare il sangue versato. L’amore di una madre, un legame indissolubile, tanto forte da divenire trasmutazione. La ricerca di una vendetta, quindi, assume sembianze umane in grado di governare i sensi di colpa dei quattro protagonisti.
Quello scritto da Stephen Graham Jones è un racconto dal forte stampo alla “Stephen King”. Del resto, quello che a oggi viene in tutto e per tutto definito il padre dell’horror moderno, ha tratto per lungo tempo ispirazione dalle leggende indiane. I cimiteri, i redivivi, i ritorni, tutto diviene simbolo di ciò che si tiene sepolto nel più profondo dell’anima. Sentimenti che non si vogliono più rivangare, che non si vogliono neanche confessare a chi adesso ci accompagna. La colpa, così, diviene elemento attraverso la quale si commettono atti quasi ciclici: da un’azione si passa alla successiva, commettendo errori sempre più imperdonabili e mortali.
Gli unici indiani buoni sono indiani morti, quindi si comprende fin da subito cosa il titolo del libro vuol suggerire al suo lettore. Che tutto sia un sogno o che sia realtà, poco importa. L’agire umano segue la frattura della psiche ed è solo allora che si compiono quei mortali palleggi a pallacanestro.
Questo romanzo ha una scrittura interessante, una storia non lineare che riesce a percorrere diverse linee temporali. Così come con i ricordi, i tempi si sovrappongono e non importa se sono passati dieci anni.
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