- Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato
Quel sogno ricorrente di tempo fa continua ancora a perseguitarmi. Ciò di cui parlo riguarda i mezzi pubblici in generale, ma mi riferisco principalmente ai treni. Non so se Trenitalia mi ha causato particolari traumi, ma sogno spesso locomotive.
Forse sono quei viaggi medio-lunghi che ti portano a sperimentare un nuovo modo di intendere lo spazio e la realtà. Potrei riferirmi alla tratta Messina - Roma o anche alla tratta Messina - Catania (non pensate che i tempi di percorrenza siano poi tanto diversi). Ma astraiamo questa esperienza e facciamo un discorso più generale.
Mi riferisco a quando si passa troppo tempo su un treno. Il rumore delle ruote sulle rotaie entra nella testa come un fastidiosissimo tormentone. Si vorrebbe cantarlo come se fosse onomatopeico, ma non si può fare perché si verrebbe presi per pazzi dagli altri. In questo caso, gli altri non avrebbero tutti i torti.
Il problema persiste quando si scende. Persiste per il resto della giornata. Non ho mai fatto caso quanto fosse statico il mondo, nonostante la rivoluzione terrestre. Parliamoci chiaro: quando si scende da un mezzo dopo lungo tempo, la sensazione di ritornare con i piedi sul suolo è veramente una benedizione. Per questo non capisco i marinai. Non capisco i macchinisti e i controllori. Non capisco gli autisti dell’Atac.
Ma al di là di questa divagazione che non porta da nessuna parte… Cosa resta? Resta il rumore (in questo caso specifico, del treno). Vi assicuro che mi è successo di mettermi al letto e di sentire ancora il mio corpo vibrare come se stesse sul treno.
Sentivo le rotaie come se stessero sotto il mio letto e come se il mio letto fosse munito di ruote. Sensazione orribile di nausea. A volte, però, forse è necessaria. E forse i miei incubi si ancorano a questo e altro per comunicarmi la necessità oltre le contingenze di una vita stazionaria.
“Ora ch’egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più esser trattato a quel modo”
- Luigi Pirandello, Il treno ha fischiato
E forse è arrivato ora il momento, quel momento che porta al movimento, quel momento in cui il pensiero diventa un racconto.
Giordano correva, inseguiva quel treno che non voleva saperne di fermarsi. Eppure, Giordano lo stava aspettando a lungo in quell’angusta stazione. Signori miei, credetemi non ho mai visto stazione peggiore di quella in cui Giordano aspettava. Ore e ore, in un tempo incalcolabile. Una stazione labirintica e sotterranea ove non filtrava la luce del sole. Probabilmente era pure notte, forse perché dormivo e forse perché ero io Giordano. Ed essendo io Giordano ora parlerò in prima persona. In ogni caso non riuscivo a orientarmi. Troppi binari e troppi sottopassaggi confusionari.
Ed eccolo, l’ho visto arrivare da lontano, il mio treno. Ma era troppo tardi, la fermata è stata breve. E una volta risalite le immense scale che affioravano dal sottopassaggio, la mia corsa era già andata via. Prossimo treno fra sedici ore e quarantotto minuti. Non so quanto tempo sia passato, ma ancora sto aspettando, forse pure più di sedici ore, forse sto ancora dormendo.
“Il treno che porta ovunque
è già passato da eoni:
qui vagherò per sempre, comunque
lontano da nuove destinazioni”.
- Gianluca Boncaldo, Ho perso il treno
Forse devo solo organizzare meglio la mia vita, come avrei dovuto organizzare meglio questo scritto, che comunque è stato consegnato nuovamente in ritardo.
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