Disponibile dal 1 maggio, su Prime Video è arrivato: “Brightburn, l’angelo del male”, film diretto da David Yarovesky, con la collaborazione di diversi componenti della famiglia Gunn. Si avvalora, infatti, sempre più l’idea che tutti i Gunn siano cresciuti a pane e fumetti. Del resto, se il volto di Yarovesky non vi è del tutto sconosciuto è proprio perché lui è uno dei Ravagers di Guardiani della Galassia Vol.1. In ogni caso, è sempre più chiaro come Hollywood proceda tramite amicizia e che le collaborazioni nascano proprio dall’esigenza comune di raccontare storie con persone familiari.
È arrivato nelle sale italiane il 24 maggio 2019, e ci ha dato modo di conoscere l’altra faccia dei supereroi, ovvero: quando i loro super poteri non vengono usati per un fine positivo, ma sono devoti al male. L’angelo del male è, difatti, la versione alternativa del Kryptoniano più famoso di sempre. Abbiamo un super ragazzino che non solleva le auto per poter aiutare i propri genitori, ma al contrario per toglierli di mezzo. Dimentichiamoci dei classici villain che vengono sconfitti, qui abbiamo il terrore e l’horror puro che si diffonde e dilaga senza alcuna possibilità di salvo. Dimentichiamoci delle Marte che fermano le lotte intestine e permettono patti di non belligeranza, qui difficilmente arriveranno alla fine del film.
Quando, dunque, si è dotati della possibilità (che sia la super forza o la super economia) si hanno due scelte praticabili: il bene e il male. Gli eroi, indipendentemente dalle loro fragilità o dall’universo narrativo di appartenenza, sono dotati anche di una grande compassione. Elemento che, il più delle volte, gli impedisce di commettere l’atto privativo di vita, ma al contrario si aggrappano all’idea redentiva per il cattivo. Se a ciò aggiungiamo base mitologica, il rapporto tra Superman e Bibbia è presto fatto. E così, come abbiamo un Cristo ci ritroviamo anche con la sua variante più cruenta e crudele. Niente più miracoli, ma solo sangue e carneficine per opera dell’Anti-Cristo. Il paragone è, dunque, presto fatto: l’Angelo del Male si eleva a bestia guidata dal puro istinto egoistico.
In una piccola cittadina chiamata Brightburn, arriva un piccolo miracolo caduto dal cielo. Una coppia che non poteva avere figli, formata da Elizabeth Banks e David Denman, ritrova in un campo di grano questo piccolo maschietto (Jackson A. Dunn) e decidono di prendersene cura. Ben presto, però, iniziano a emergere i primi sentori di stranezza nel ragazzo e no, non ci riferiamo solo alla questione dei superpoteri che emergono fin dalla più tenera età. Il nostro angelo del male è totalmente anaffettivo e incapace di comprendere le emozioni umane. Sotto questo punto di vista Jackson Dunn si presta benissimo all’interpretazione. La sua monotonicità nel volto gli conferisce il giusto mix tra genuina incomprensione e psicosi. La sua capacità attoriale mostra tutta la dualità del personaggio riuscendo a spaventare e a far ridere il pubblico istantaneamente. Le battute, i ritmi narrativi, sono difatti strutturati sulla base della sua interpretazione.
L’uso delle musiche, infine, assume un aspetto significativo all’interno di tutta la diegesi narrativa. Ci sentiamo di dire che si sente un po’ il marchio di fabbrica di Gunn, in quanto il produttore di questa pellicola ci ha abituati a grandi scelte musicali all’interno dei suoi film. Nulla, infatti, viene lasciato al caso, al contrario riesce a intersecare e a conferire connotazioni che fanno la differenza. La suspance, in questo modo, viene accentuata dal mixaggio sonoro. Nella sua riproduzione di suoni naturali e ambientali non viene aggiunto niente di esterno, creando momenti tensivi in cui il movimento di camera riesce a fare il resto. Si vive, in questo modo, la sensazione di esser braccati tanto quanto i protagonisti sulla scena. Le soggettive, sapientemente usate, permettono allo spettatore di sentirsi parte integrande della storia.
Brightburn potrebbe entrare a pieno diritto nei film “must to watch” perché riesce a costruire e decostruire i dettami dell’horror appropriandosene.
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