giovedì 4 maggio 2023

#Racconti: Il temporale irritante

ATTENZIONE
: il contenuto del seguente racconto potrebbe urtare la sensibilità di alcune persone, se nutrite un certo ribrezzo per i racconti cruenti, ne sconsigliamo vivamente la lettura.

Ripensavo a un piccolo incidente che ho avuto nel tardo pomeriggio, e riflettendoci, sto maturando l’idea di avere un problema con la gestione della rabbia. Ora vi racconto tutto.

Stavo semplicemente lavorando e fuori stava piovendo. Per carità, non voglio ora esagerare descrivendo la pioggia più insistente di quanto fosse. Era una semplice pioggia primaverile.

Il problema non era di per sé l’intensità di quella pioggia, ma la sua comparsa: il cielo aveva sfogato il suo pianto in maniera del tutto improvvisa, nessun meteorologo aveva previsto ciò. In mattinata non si vedeva neanche l’ombra di una nuvola.

Tutto questo per dire cosa? Sì, ero senza ombrello, e pure senza un adeguato cappotto.

Erano ormai le 16:00, stavo lavorando al PC. L’ho già detto qual è il mio impiego? Non mi pare… Sappiate soltanto che mi occupo di contabilità per un’azienda molto importante.

Il mio turno sarebbe terminato alle 18:00, vi era ancora un considerevole lasso di tempo durante il quale la pioggia sarebbe potuta cessare.

Erano poi giunte le 17:00 e la pioggia continuava con la sua monotona cantilena, nessuna sorta di variazione. La guardavo dalla vetrata del mio ufficio al quattordicesimo piano, sembrava volesse schernirmi.

Aggiungo pure che il mio ufficio non si trovava proprio nei pressi della mia abitazione, ero sfornito di auto e avrei dovuto camminare per tornare a casa.

La mia mente aveva trasformato in un rumore bianco quella nenia d’acqua che si posava sulla vetrata del mio ufficio, volevo solo finire il mio lavoro cosicché avrei avuto più tregua il giorno successivo.

Erano esattamente le 17:55 e avevo appena chiuso il PC soddisfatto di aver completato tutto il lavoro che avevo in sospeso dal giorno precedente.

Tuttavia, questo sentimento di soddisfazione era svanito in un attimo.

La pioggia era lì, uguale a prima, in una situazione statica da circa due ore. Un’ira indescrivibile mi aveva allora pervaso, come se in quel momento uno spettro incattivito avesse preso possesso del mio corpo. Avevo preso quella pioggia proprio sul personale, e non sopportavo affatto l’idea di dover tornare a casa zuppo.

Con questo stato d’animo mi ero recato in portineria, chiedendo se per caso ci fosse un ombrello in più da prestarmi. Capite bene, non ero dell’umore di scherzare, mi sentivo come se il cielo intero si stesse facendo beffa di me. Il custode non calmò il mio stato d’animo, stette qualche secondo in silenzio, facendo finta di non sentire. Avevo reiterato la richiesta, ma il custode mostrando un sorriso sornione mi rispose:

Non preoccuparti, camminare sotto la pioggia non può farti altro che bene. Ho notato che sei sempre arrabbiato per un motivo o per un altro, magari questa pioggia ti sbollirà levandoti di dosso quest’aria da terrorista che porti ogni giorno in ufficio”.

Dopo tale risposta, il custode ha iniziato a ridere di gusto. Vi assicuro che quella è stata l’ultima volta in cui l’ho visto così divertito.

Percepivo quelle risate come uneco lontana dello scherno da parte della pioggia. Rimbombavano nelle mie orecchie e poi nella mia testa.

Sulla scrivania del custode era presente un taglierino che ho afferrato senza esitare. Il custode era troppo impegnato a ridere per accorgersi di ciò che stavo per fare. La mia rapidità d’esecuzione fu ineccepibile. In un attimo quella faccia colma di ilarità si era trasformata in un’espressione di forbito terrore.

Avevo conficcato il taglierino nello stomaco del custode. La mia azione era stata così violenta che lo avevo sventrato con naturalezza, quasi come se stessi tagliando il burro. Il volto agonizzante dava ancora segnali di vita, così avevo preso il custode per i capelli e gli schiaffai contro il volto contro la fotocopiatrice, violentemente e ripetutamente. Ho continuato per qualche minuto, tra le urla di terrore di chi stava vedendo la scena. Con le mani insozzate di sangue, ho quindi preso l’ombrello del custode, dato che a lui non sarebbe più servito.

Una volta uscito dall’ufficio ho aperto l’ombrello che avevo preso in prestito. Ma dopo solo pochi passi, notai la sensazione di fastidio che mi provocava l’enorme quantità di sangue che avevo addosso. Ho chiuso dunque l’ombrello, pensando:

Ma sì, dai. Camminare sotto la pioggia non può farmi altro che bene”.

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