Per comprendere meglio, vi consigliamo l’ascolto, o la lettura del testo, di “I know (I know)”. (Trad. “Lo so (Lo so)”. Il brano, con molti riferimenti alle canzone dei Beatles scritte da Paul McCartney, come: “Yesterday” e “Fixing a hole” è l’ennesimo dedicato a Paul, ed è uscito nel 1973, all’inizio del famoso periodo durato diciotto mesi che John Lennon ha poi rinominato il suo: “The lost weekend” (trad. “Il weekend perduto”). In questo tempo John si allontana da Yoko Ono, trasferendosi a Santa Monica, California, assieme alla sua assistente e amante May Pang. Sempre in questo periodo, si ricongiunge al figlio Julian e a Paul McCartney.
Chiude gli occhi, lasciando che la vibrazione del motore e delle ruote sull’asfalto sia l’unico suono percepibile dalla sua mente. L’autista è silenzioso, sembra capire che nessuno ha molta voglia di parlare, o forse è solo abituato così, dopotutto non serve l’esperienza degli anni per capire che trasportare ricconi non vuol dire avere grosse chiacchierate: nessuno di loro sembra entusiasta all’idea di parlare con chi è di rango inferiore.
Non è comunque il suo caso, anzi, solitamente è ben felice di passare il tempo parlando, soprattutto quando attraversa luoghi sconosciuti. Riempie di domande ogni sfortunata vittima, anche se sono tutti ben lieti di rispondere. Forse è solo carineria tipica negli inglesi, ma Linda gli ha assicurato che gli americani sono veramente ben felici di dare aiuto, credendosi sempre i migliori in tutto e non si lasciano ripetere due volte una richiesta, se è finalizzata a parlare bene o esaltare, addirittura, un qualsiasi luogo statunitense.
L’autista, però, rispetta il silenzio per dovere, Linda per rispetto. Paul cerca la sua mano, tenendo sempre gli occhi chiusi, un gesto per ringraziarla, ma che in realtà gli dà la forza necessaria per non farsi trasportare in scenari catastrofici.
Il periodo in India gli ha insegnato a meditare, lo considera uno dei più grandi doni che la vita gli abbia mai offerto, più di ogni ricchezza materiale, più dell’amore che prova quotidianamente. Riesce a canalizzare meglio i suoi pensieri, mantenendo uno stato di calma, anche se il suo corpo avrebbe voluto correre da John fin dal primo momento in cui ha letto il titolo della sua nuova canzone: “I know (I know)”.
Chissà com’è che sono diventati due estranei, chissà perché hanno deciso quasi di comune accordo di parlare solo attraverso le loro canzoni da solisti. Si passa la lingua sulle labbra, non sa darsi una risposta, sa solo che perdersi in quei pensieri non porta a nulla di buono: troppi perché, troppi chissà, troppe domande forse inutili, che tacciono solo quando si racconta la motivazione peggiore. Però adesso sta andando da John, può chiedere a lui, se gli va ancora di parlare. Quell’incontro è piombato letteralmente dal cielo, solo una breve chiamata con May: “Perché non vieni qui in California? John ne sarebbe contento”. May. Orientale come Yoko, ma così differente. “Oh sì, ci penserò”. Quanto è arrogante a volte, si sente in colpa per quelle risposte messe lì, un po’ a casaccio. “John sa”, però, “sì, John sa che non sono mai messe a casaccio”.
L’arrivo alla villa non è eclatante, cerca di vivere il momento, come gli è stato insegnato, ma non avverte nessuna emozione in particolare. Almeno non la sua mente, perché il corpo, al contrario, ricomincia a tremare. È Linda che pensa ai pochi bagagli che si sono portati per passare lì solo una settimana. È sempre lei che ringrazia e congeda l’autista, lui guarda a terra, fischiettando con sufficienza una melodia che non conosce.
Linda è fin troppo intelligente, capisce che non è il caso di chiedergli come va. Gli passa solo le borse più pesanti e la custodia della chitarra che si mette sulle spalle, e i due si prendono per mano e in pochi passi sono raggiunti da May.
«Che piacere vedervi! Siete i primi.» abbraccia prima Linda, poi fa un cenno a Paul.
«Santa Monica in questo periodo è fantastica! È una vera e propria boccata d’aria rispetto a Londra.» Linda è già rossa in volto, la sua carnagione si è abituata in fretta al clima inglese, ma questo Paul non glielo fa notare perché la sua anima ricerca sempre il sole, in vero stile americano e sa quanto vinca sempre l’anima in certi casi.
Lasciano le borse a degli inservienti incaricati di portarle nella loro stanza, non fanno in tempo neanche a chiedere dove sia che spariscono salendo la grande scalinata che li conduce al piano superiore. Paul vorrebbe seguirli, scappare. Si sente diviso tra una voglia irrefrenabile di stare con John, parlargli, chiarirgli tutto ciò che un brano di tre minuti non può spiegare; allo stesso tempo vorrebbe fargli mille domande, fargli notare le volte in cui ha frainteso ciò che aveva detto, perché sì, ha ragione lui: non si leggono nella mente. Ma il pensiero negativo che John potrebbe ignorarlo, o peggio: punzecchiarlo ironicamente lo fa già morire. Conosce John, lo ha visto ferire con le parole persone che lui ha davvero amato. Questo trattamento, anche se non l’ha mai utilizzato contro di lui, l’ha sempre spaventato, non gliel’ha mai nascosto. John ha un arsenale di armi da poter utilizzare contro Paul, e non è di certo il tipo da negarsi una battaglia.
Assieme a May hanno attraversato buona parte della villa e lui non si è reso conto di nulla, non l’ha vista, non saprebbe neanche dire qual è il colore delle pareti o se ci sono dei quadri appesi. Non ha saputo cogliere quale dettaglio sia stato scelto o modificato da John. Il vociare proveniente dal giardino si intensifica sempre più, cerca di riconoscere le voci, sentire se c’è quella di lui, ma non la distingue. Risate, alcuni si tuffano in piscina, qualcuno suona una chitarra. Paul si gela, riconoscendo da subito chi sia quel qualcuno.
Lascia la presa della mano di Linda per sistemarsi i capelli, lei apre leggermente la bocca, sta per dirgli che tutto andrà bene, ma è John a intromettersi.
Paul si siede accanto a John, cercando di capire cosa voglia.
«Ci sono questi accordi, ascolta bene. Poi vorrei qualcosa che spezzi la melodia, che cambi del tutto, ma non in maniera netta. Capisci cosa intendo?» John passa la chitarra a Paul, che la rigira in modo tale da poterla suonare con la sinistra.
«Ripetimi gli accordi.»
John glieli elenca, sguardo fisso sull’amico. Non si vedono da quattro anni, mai una chiamata, mai una conversazione, e quando Paul gli rivolge il suo, continuando a suonare sotto dettato, cerca una risposta a tutte quelle domande. John sorride.
«Guardateli! Sembra che si siano visti fino all’altro ieri.» Paul non conosce il tizio che ha pronunciato quella frase, ma si rende conto che tutti li stanno osservando in silenzio, chissà da quanto tempo.
“È normale”, si dice, “anche loro devono aver pensato su come sarebbe stato il grande ritorno tra John e Paul: battute, rissa?”.
John gli mette una mano sulla schiena, avvicinandosi al suo orecchio. «È dedicata a te.»
«Lo so.» risponde Paul, in un gioco di parole che fa ridere i due.
Paul non ha voglia di andare a dormire, o semplicemente non ha il coraggio. Non sente neanche le ore di jet-leg, probabilmente anche aiutato dall’euforia nascosta con le bevande. È dal pomeriggio che ride, scherza, suona, sia con John che con i nuovi amici da poco conosciuti. Linda si è stancata relativamente presto, è salita in stanza da qualche ora, avvertendo Paul con un leggero bacio. Non gli ha detto di raggiungerla, non avrebbe mai potuto, e questo fa crescere in lui l’amore nei suoi confronti.
Più la nottata si schiarisce, più gli altri fanno ritorno nelle loro abitazioni, o salgono le scale per raggiungere le stanze che li ospita. Paul è sdraiato sul bordo piscina, a osservare le stelle che a breve spariranno. Il silenzio lo avvolge del tutto, tanto da rimandargli il rumore del mare a qualche metro di distanza.
Persino John è risalito con May da qualche minuto, quando il catering ha finito di sistemare ciò che doveva, in attesa del servizio di pulizie che arriverà il giorno dopo, o per meglio dire: tra qualche ora.
Chiude lentamente gli occhi, che male può fargli, dopotutto, se dorme lì fuori? È rilassato, John con lui si è comportato al solito, forse ha riservato tutto il suo rancore sui testi usciti negli ultimi anni. Anche se, in effetti, l’ultimo non era così carico di risentimento, anzi…
“And I know it’s getting better all the time
(e so che andrà sempre meglio)
as we share in each other’s mind
(mentre condividiamo le nostre menti)”
«Ti è piaciuto il riferimento?» John si mette seduto accanto a lui, gambe incrociate.
Paul rimane a occhi chiusi, sorridendo. Nessuno di loro parla, forse non sapendo neanche cosa dire.
Se l’aria potesse parlare, se il flebile vento potesse esternare tutti i loro pensieri, però, mostrerebbe un’agognata voglia di fare domande, solo domande. Verrebbe fuori tutta la loro insicurezza dopo la rottura, la vergogna di non essere stati capaci di andare oltre, di chiarire. L’orgoglio dell’uno, l’indifferenza dell’altro, entrambi i modi di reagire alla rabbia, sentimento che da sempre nasconde la tristezza, la delusione. Gli ultimi anni insieme erano intervallati tra supporto e crisi, da grida e pianti. Avevano fatto in modo che anche la loro relazione diventasse un’azienda, se falliva una, falliva l’altra e in pochi mesi hanno perso letteralmente tutto.
Nonostante le promesse dettate dall’amore, quando diviene dittatore e non ammette che un legame si sciolga, sono andati avanti lo stesso, hanno potuto vivere anche senza l’altra parte. Sono stati felici e depressi, hanno confidato gioie e dolori ad altri, ma tutto ciò non è bastato. Hanno comunque avvertito il bisogno di parlarsi, di ascoltarsi, ed ecco che entrambi, o meglio, i loro assistenti, non si sono mai persi l’acquisto di un loro disco.
John e Paul non hanno partecipato alle nuove registrazioni, eppure ogni brano inedito è stato ascoltato senza soffermarsi sulla tecnica sonora, era il loro unico modo di rimanere in contatto, di capire cosa stessero passando, perché solo loro potevano davvero comprendere una parola messa in un certo modo, detta con una certa tonalità.
Si ritrovano in quel bacio e comprendono che non si sono mai allontanati, mai persi, che il loro amore non è mai finito, che l’astio copriva solo la paura di fare un primo passo per risolvere e trovarsi a sbattere contro un muro. Quel colpo ci sarebbe stato di sicuro, ne sono consapevoli, e li avrebbe scossi così nel profondo da dare la coltellata finale, quella che ti fa morire dissanguato, che toglie l’ultimo alito di vita. È vero quando si dice che il tempo aiuta a sistemare tutto, risolve ogni cosa, cura ogni ferita.
John toglie la maglia a Paul, passa le sue mani sul petto, e si scansa dal bacio quando si accorge di star toccando nuovamente la sua pelle. La bacia, rimanendo sempre seduto. Lecca petto e collo, poi torna sul viso, sulla bocca, si prendono i capelli, ogni desiderio di parlare è sfuggito e ha lasciato pieno campo all’istinto, perché dopotutto non si possono ancora razionalizzare anni di lontananza.
John lo precede di qualche passo, cammina veloce e ogni tanto si volta sorridendogli. Non devono salire le scale, e in un certo senso Paul ne è sollevato. Andare in una stanza che potrebbe confinare con qualcuno degli ospiti avrebbe significato imporre dei limiti, non ne ha proprio voglia.
John apre la porta di una camera non preparata, forse appartiene a qualche domestica, o forse è un’altra stanza ospiti che verrà sistemata nei prossimi giorni, quando arriveranno gli altri.
«Ho lasciato la maglia fuori.» la voce di Paul è flebile, si è accorto solo ora di poter aver commesso chissà quale danno: una prova che potrebbe essere mostrata contro di loro in chissà quale tribunale morale.
Di risposta John ride, avvicinandosi alla finestra. La apre, e lancia via la sua maglietta. «Anche io.»
I due riprendono da dove avevano interrotto, accompagnati dal sole che lentamente si alza nel cielo.
Hanno dormito solo qualche ora, giusto il tempo di far riprendere il loro fisico, dopotutto non hanno più vent’anni. John bacia Paul sulla schiena, questa volta lentamente, perché sa che l’altro ha anche affrontato un viaggio.
«Perché non torniamo a fare musica insieme?» Paul si pente quasi subito della domanda, i loro corpi sono nudi, ma mai quanto le loro anime in quell’istante.
«Voglio ritirarmi.» A quella risposta Paul si gira di scatto, gli accarezza la testa, pettinandogli con le dita i capelli.
Non ha bisogno di chiedere il perché, lo riconosce dallo sguardo. Lo vede stanco di essere vittima di critica, governi, si è esposto così tanto che sa quanto si senta in dovere, quasi quanto lo possa essere un politico. Ha bisogno di una pausa, e nella stretta che li riaccompagna verso un nuovo sogno, Paul gliela concede.
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