“I suoi capelli rosso sangue si erano impigliati in me, si erano avvolti intorno a me come serpenti rosso sangue, i loro lacci più sottili si erano avvolti intorno al mio cuore.”
È una citazione di Edvard Munch, l’autore conosciuto in tutto il mondo per la sua opera più famosa: “L’urlo”. Abbiamo parlato di quanta sofferenza si celasse all’interno di quelle pennellate che rendevano il soggetto una figura quasi spettrale, tormentata da un dolore insito nella sua psiche. Oggi, invece, vogliamo soffermarci su un’altra sua opera che si tinge di turbamenti e di “rosso sangue”: stiamo parlando di “Amore e dolore”.
Si tratta di un olio su tela realizzato nel 1895 e a oggi conservato nel Museo Munch di Oslo. Di questa stessa rappresentazione ne esistono diverse copie, di cui: tre conservate nel museo sopracitato, una nel Museo d’arte di Goteborg, una appartiene a un collezionista privato e un’altra ancora è attualmente dispersa. “Amore e Dolore” viene anche soprannominata “Vampire” (vampiro), nome dato da Stanislav Przybyshevsky, un caro amico dell’artista.
A prima vista, il dipinto ci appare come l’abbraccio intimo tra due amanti, nascosti in una stanza o in un bosco per celebrare il loro amore. La chioma rossa di lei ricade morbidamente sul corpo di lui, le labbra nascoste sono molto probabilmente intente a sfiorare il collo dell’amato in un dolce bacio, mentre lui le si accoccola, appoggiando il capo sul suo grembo. Le braccia di lei sembrano avvolgerlo in un primordiale segno di protezione. Poco dopo, però, ci si rende conto che la scena non è propriamente così romantica e idilliaca come appare: il volto dell’uomo è di un pallore inquietante, livido, mentre le figura femminile si carica di colore nel punto in cui i loro corpi di toccano, come se ne ricevesse il calore, disperdendosi verso gli arti. Ad accompagnare le figure, lo sfondo cupo lascia presagire qualcosa di molto più inquietante rispetto all’inizio e allora tutto acquista un nuovo significato, in linea con il titolo alternativo dell’opera. La donna non lo sta abbracciando, lo sta bloccando. Le sue labbra non lo stanno baciando, ma gli stanno succhiando il sangue, la linfa vitale, il che darebbe una motivazione al pallore di lui, in contrasto con i colori caldi del viso di lei, ebra di sangue. Inoltre la sua chioma rossa diviene così un forte richiamo al sangue. Il luogo in cui si svolge l’azione si trasforma così in una prigione. Inoltre, quello che a prima vista poteva apparire come una ciocca di capelli della donna sul collo dell’uomo, diviene improvvisamente un rivolo di sangue.
La donna succhia la linfa vitale dell’uomo, se ne ciba, in linea con la sua immagine folkloristica. Il vampiro è quella figura che rappresenta la perversione dell’essere umano, il suo bisogno istintivo di prendere senza dare. È l’emblema del bisogno di potere, della supremazia di un uomo (nello specifico di una donna) sull’altro. Schiacciando l’altro. Uccidendo l’altro. I vampiri sono esseri che non provano risentimento (in generale, nella superstizione, non quelli di Anne Rice o di Stephenie Meyer), in bilico tra la vita e la morte senza appartenere a nessuno dei due stadi dell’esistenza. Vagano nel buio, agiscono a favor di tenebra, spogliando l’uomo del proprio essere, uccidendo o accompagnandolo nell’oscurità dell’esistenza, della sfrenatezza, perché non vi sono più limiti, a eccezione fatta della luce.
L’uomo non cerca in alcun modo di sottrarsi a quella violenza, anzi, le sue braccia le avvolgono i fianchi. In una sorta di Sindrome di Stoccolma, lui cerca di rimanere stretto alla sua aguzzina, incapace di lasciar andare un rapporto così doloroso e tossico. In linea con il trend di Tik Tok, qui le “red flags”(le bandierine rosse che mettono in guardia dalle relazioni malsane) si sprecano. Ci si aggrappa, tanto da appoggiare il capo sulle sue gambe, lasciando che la vampira faccia il suo lavoro. Non scappa, non si difende, lascia che le tenebre lo avvolgano, fino al sopraggiungere della morte. Non prova alcun odio per la sua carnefice, anzi, è lui che sceglie di rimanere in bilico tra amore e dolore, tra vita e morte.
Anche in quest’opera si cela il profondo malessere esistenziale di Munch, il dolore che lo ha sempre accompagnato nella sua vita e che era in grado di esprimere solo attraverso le sue rappresentazioni, di esorcizzarle. L’arte è vitale per l’essere umano, e infatti disse:
“Ogni forma d’arte, di letteratura, di musica deve nascere dal sangue del nostro cuore. L’arte è il sangue del nostro cuore.”
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