Per più di sessant’anni, delle registrazioni sono rimaste chiuse all’interno di alcuni scatoloni. Riprese di un viaggio fatto per “la ricerca di un clima più caldo”. Un film mai realizzato che ha portato a un’incredibile crescita personale. James Ivory, nella sua nuova opera, racconta un piccolo pezzo di sé e lo fa attraverso le riprese che aveva fatto durante il suo viaggio a Kabul.
Il regista e sceneggiatore, superati i 94 anni d’età, ha ancora molto da dire e lo fa con una straordinaria lucidità attraverso la visita compiuta in gioventù in una terra che, a oggi, è come se non esistesse. L’Afghanistan, visto dai suoi occhi, è un piccolo paradiso terrestre fatto di tradizioni, persone e cultura; elementi che oggi passano del tutto in secondo piano nell’immaginario collettivo. Oggi quella è la terra dei terroristi, una terra contesa tra diverse fazioni, mentre Ivory ci concede uno sguardo prima ancora che arrivassero gli americani e i russi.
Attraverso il suo archivio storico è possibile costruire quasi un percorso poetico. La leggenda la fa da padrone, ma di certo la cosa più interessante è il modo con cui il regista ha deciso di trattare l’argomento. Procedendo, infatti, in una lenta ricostruzione possiamo vivere la sua difficoltà nell’essere in una paese di cui non conosceva la lingua, un luogo nel quale perdersi era fin troppo facile e in cui sarebbe stato meglio seguire i consigli di chi lo viveva.
Siamo a Kabul nel 1960, una volta atterrato non sa neanche dove andare. Attraverso le lettere mandate a sua madre lui si muove nella propria memoria e ricomincia quell’avventura. Una ricerca, come dicevamo, verso un clima più mite di quanto non fosse quello dell’Oregon.
Più di ogni altra cosa, sicuramente, colpisce il modo con cui Ivory detiene tutti questi elementi artistici e quasi storici in casa propria. Le riprese moderne, infatti, sugellano la presenza costante di questa storia all’interno della personalità dello sceneggiatore vincitore di un Oscar. Quel viaggio a Kabul ha innescato una sequela di eventi che lo hanno portato alla sua collaborazione lavorativa più proficua di sempre: quella con Ismail Merchant e Ruth Prawer Jhabvala. Dalla loro unione il successo andava e veniva, tra alti e bassi, ma è comunque stata suggellata, specie con Ismail e i loro quarant’anni passati a raccontare storie.
A Cooler Climate è un interessante documentario che, oltre a restituire al pubblico più vasto un’immagine diversa dell’Afghanistan, parla di un’intera carriera spesa al voler mostrare delle storie. Fotografie di istanti, video di momenti, che restaurati consegnano alla memoria una dolce eredità.
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