Anche oggi sono in ritardo. Non ci sarebbe molto da dire, è tutto esplicativo nel titolo, ma devo in qualche modo sfogare. Dissi a me stesso e ad altri che sarei arrivato in tempo a quell’ora, ma quell’ora è passata e sono anche passate le stagioni.
E allora, sì, incontriamoci per pranzare insieme, ma quando arriverò io sarà già avvenuto il vostro pranzo e sarà già avvenuta anche la vostra cena.
Allora lasciatemi il caffè e l’ammazzacaffè, così che il caffè mi permetta di restare sveglio per meditare sul ritardo, e l’ammazzacaffè mi faccia addormentare prima del previsto per non arrivare in ritardo anche domani.
Perché adesso davvero basta: è per colpa del ritardo che si distorce ciò che sarebbe potuto essere. Tutto si ricompone in un ideale al di fuori dell’universo, in un presunto ricordo passato che non sono riuscito ad acquisire. Tutto ciò solo perché sono arrivato tardi.
"Le lacrime del tempo perduto
cadono come pioggia autunnale,
rugiada in trasfigurazione mortale
del passato che non è mai avvenuto".
(Gianluca Boncaldo, Passato inespresso)
È tardi, è dannatamente tardi, l’estate non è mai arrivata e il ticchettio dell’orologio echeggia come tamburi tribali nascosti in una foresta.
Ma poi che ne sanno invece le altre specie viventi del ritardo, quanto sarebbero comiche le meduse se dovessero pensare di non essere arrivate in orario.
A pensarci bene, sono bastati miliardi di anni di evoluzione delle semplici cellule eucarioti affinché nascesse l’umanità per inventare il ritardo e la burocrazia.
E dopo quello che è successo oggi, in mezzo a quest’umanità, so già come mi sveglierò domani, sentendo la sveglia puntata all’ultimo momento utile, alzandomi dal letto per scegliere i vestiti che saranno comunque sbagliati, dato che sono quelli della stagione precedente.
Improvviserò una pessima colazione a un orario del giorno che odio e che mi ricorda di essere già in ritardo. E allora esco dopo essermi lavato i denti, correndo verso la destinazione senza curarmi del resto. Quando sei in ritardo, l’obiettivo resta uno e tutto il resto perde importanza. È per questo, del resto, che resto immobile fino all’ultimo, per aver chiaro l’obiettivo.
Ma è un ossimoro, perché la chiarezza è offuscata, e ciò che è offuscato è ciò che è più chiaro nella mia vita.
Ma mentre corro sbaglio strada, sbaglio semaforo, sbaglio indirizzo, e sbaglio luogo per l’incontro. Scopro che la destinazione non era una destinazione, ma la casa di uno sconosciuto.
Allora rivedo bene l’indirizzo, e scopro che in realtà dovevo andare da tutt’altra parte. Sentite, al popolo di Mosè non ha detto nessuno che è arrivato in ritardo alla Terra Promessa, ci è arrivato e basta.
Ed è per questo, che io, profeta del nulla, mi accingo a varcare la soglia del senso, dell’errore di calcolo e di locazione. Sarò forse in ritardo e nel posto sbagliato ma sono qui per un motivo. Allora provo a parlare allo sconosciuto che abita questa casa e chiedergli un passaggio. Ma questo sconosciuto parla solo hindi, e dunque mi pento di non aver imparato tale lingua. In fondo lo so che mi avrebbe dato un consiglio saggio, ma io rimango ignaro del suo verbo, e mi tocca infine ricalibrare il navigatore.
Corro ancora, stremato raggiungo finalmente l’indirizzo giusto. Ma è passato così tanto tempo che nel frattempo l’indirizzo ha cambiato nome nella toponomastica.
Mi sento dire con voce incredula: “Gianluca, ci dovevamo vedere un anno fa”.
Rispondo con tono composto: “Ma ora sono qui, e cos’è in fondo un anno? Non ho capito come comunicare in hindi, ma ho capito che sono di nuovo in ritardo. Prendiamoci un aperitivo anche se sono le nove del mattino, perché con tutto il tempo che ci metto a scegliere il cocktail, si faranno le sette di sera”.
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