Arriverà in sala cinematografica il 3 novembre: Il Prince di Roma, negli scorsi giorni, ha divertito il pubblico della Festa del cinema di Roma. La regia di Edoardo Falcone ci conduce all’interno di una rivisitazione del Canto di Natale di Dickens, in versione romanesca. Protagonista in scena Marco Giallini che veste i panni di quest’uomo di umili origini, divenuto uno tra i più ricchi nel territorio romano.
Siamo nel 1829, Roma. Bartolomeo Proietti (Marco Giallini) sta cercando di concludere la vendita di una dote per poter cercare di conquistare il titolo di Principe. L’essersi arricchito, nel corso del tempo, lo ha reso avido e -soprattutto- avaro. Il denaro che dovrebbe arrivare dalle riscossioni degli affitti nel Regno delle Due Sicilie dovrebbe colmare la somma che gli è stata richiesta per convolare a nozze con la giovane Principessa. Inutile sottolineare che non v’è amore in questa transizione, ma solo l’acquisizione di un titolo che ben presto dovrebbe portare l’uomo alla “fama”.
Però le cose non vanno come previsto e l’uomo che doveva consegnargli i soldi viene arrestato per aver ucciso l’amante della moglie, sorpresa sul fatto. Bartolomeo, chiamato da tutti Meo, non farà altro che cercare di trovare i soldi che non gli sono stati consegnati dall’adesso decapitato collaboratore. Per poter trovare gli scudi, disperato, decide di affidarsi a una veggente. Nella richiesta di mettersi in contatto con il fantasma del riscossore, si ritrova coinvolto in una specie di maledizione: notte dopo notte alcuni fantasmi lo vengono a trovare.
Potete immediatamente intuire lo svolgimento del film senza che vi vengano fatte altre anticipazioni. I fantasmi di Beatrice Cenci, Giordano Bruno e Papa Borgia lo accompagneranno nel suo percorso redentivo. Passato, presente e futuro si uniscono in una commedia divertente e perfettamente incline con altre pellicole che hanno come protagonista Giallini.
Oltre alla romanità più ampia e alle figure di spicco che si alternano intorno alla vita di Meo, quello che appare interessante sono i riferimenti che è possibile cogliere dalla visione della pellicola. Bartolomeo fa Proietti di cognome, forse un probabile omaggio all’amato attore che ci ha lasciati qualche anno fa. Inoltre, l’ambientazione, i costumi, e le risposte che Meo dà nel corso della narrazione fanno immediatamente pensare a film come “Il conte Tacchia” o ancor meglio “Il marchese del Grillo”, film che portano alla mente un certo tipo di immaginario. Una commedia fatta di battute rapide, veloci, scurrili. Un divertimento che si mantiene nella media per una fruizione di semplice intrattenimento.
Quella di Edoardo Falcone è una commedia che (probabilmente per la prima volta) crea una versione italiana del canto di Natale. La verità dalla quale i fantasmi lo mettono in guardia, infatti, lo spinge alla redenzione e al sostegno. Gli portano alla mente le sue origini, le sue promesse, la sua verità.
Un dolce e divertente viaggio alla scoperta di ciò che ha indurito il protagonista. L’elaborazione di un dramma che porta al tanto certo happy ending.
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