Riuscire a fare un paragone tra il Covid e l’assenza di pioggia nella città di Roma è davvero un colpo di genio. Paolo Virzì, nella sua visione distopica, è riuscito a raffigurare un grande affresco sull’umanità davanti all’apocalisse. Siccità è la pellicola approdata a Venezia79 ed è in sala dal 29 settembre.
Un film che ci ha colpiti dritte al cuore perché ci ha portato all’interno della città che viviamo nella nostra quotidianità, inserendo i luoghi nei quali camminiamo e respiriamo. Immaginarli senza neanche una goccia d’acqua è decisamente devastante. Le storie dei diversi protagonisti si intrecciano su uno scenario fatto di caldo e di malattia, in cui l’agire umano è il peggior pericolo nella quale si possa realmente incorrere.
Nella vita quotidiana di questi diversi spaccati sociali che Virzì mette in scena, vediamo le loro azioni e reazioni davanti all’idea del razionamento delle risorse idriche, così come davanti a quella che sembra essere una nuova pestilenza che si aggira per le strade. Tutti eventi che manifestano l’egoismo dell’agire umano e l’ipocrisia soggettiva completamente assoggettata al volere del singolo. Si vede così quanto marcia sia la società, indipendentemente dal conto in banca. Una profonda critica che, inevitabilmente, spinge lo spettatore a guardarsi un po’ allo specchio ripensando ai due anni che abbiamo appena passato.
Tra mascherine e coprifuoco ci siamo trovati davanti a dei profondi spaccati socio-economici. Una popolazione che contrasta chi può permettersi di più, chi può acquistare quei beni razionati. Una stratificazione dal basso che combatte le decisioni dell’amministrazione politica. Con abilità si riesce a scandagliare le motivazioni più profonde dell’agire umano, e si disvelano le masse che seguono credi diversi. Un pubblico che vorrebbe avere notizie e un sistema informativo forgiato sull’intrattenimento e non sulla verità. Una realtà specchio a ciò che abbiamo visto con i nostri stessi occhi e che non ci ha fatto diventare in qualche modo migliori.
Durante l’intera narrazione scopriamo tutti i vari personaggi che si alternano sulla scena. Vediamo i loro legami, nonostante l’iniziale appartenenza a ceti sociali diversi li fa apparire differenti. Sono dei nodi di una macro-rete che si influenza reciprocamente. E si condanna per le reciproche scelte intraprese nel corso degli eventi.
Quando la siccità termina e l’acqua si abbatte su Roma, il pubblico può vivere una vera e propria catarsi. I personaggi concludono il loro percorso evolutivo e la Capitale dovrebbe farsi trovare pronta ad accogliere una rinnovata vita. Il temporale fa presagire che ciò che si è vissuto è stata solo e semplice stasi, un’attesa embrionale nella quale la gente doveva cercare di provvedere al futuro. Ma l’incapacità data dalla mancata lungimiranza è preludio delle prossime e nuove difficoltà. Il terreno deve tornare a essere in grado di riassorbire l’acqua e il tempo sarà l’unico mezzo per lenire le ferite.
Gli interpreti sono perfettamente concordi con i personaggi portati in scena. Su di essi sono stati incollate le personalità di cui vestono i panni e attraverso questa caratteristica si riesce a giocare con la drammaticità dei fatti, ma anche con l’ilarità di ciò che accade loro. La Fanelli resta iconica all’interno di questa pellicola, così come Mastrandrea. Personaggi reali tanto quanto le loro fragilità, ma surreali per gli eventi che vivono. Immersi in questa sospensione della realtà diventano cardini per la costruzione del ritmo del film. Maschere tipicamente italiane, affini alla realtà umana.
Attraverso la fotografia e musica, Virzì costruisce la sua realtà. L’alone giallo suggerisce il calore che si espande per la capitale e incolla sullo spettatore l’afa cittadina. La colonna sonora costruisce la musicalità dei personaggi colorandoli di un’emotività talmente tanto forte da arrivare dritta al pubblico. Il ritmo viene alleggerito così da passare dai momenti drammatici a quelli più ilari.
Virzì dipinge egregiamente la nostra società e gli ultimi due anni sono stati condensati all’interno della semplice durata di una pellicola.
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