La storia inizia il 6 novembre del 2022, il giorno del lancio proprio del gioco “Sword Art Online”, un virtual MMORPG (un gioco di ruolo virtuale con multigiocatori) che funziona per mezzo di un NerveGear, un casco per la realtà aumentata che coinvolge tutti e cinque i sensi, mentre il player è sdraiato comodamente sul proprio letto, praticamente addormentato. Gli impulsi nervosi vengono codificati dallhardware del dispositivo e tradotti nel gioco. L’unica differenza è che nel gioco non è possibile provare dolore.
Il protagonista della storia è Kirito, un liceale che è stato tra i fortunati beta-tester del gioco, quindi per lui tornare nel mondo di SAO è come un ritorno a casa. Dopo un’intensa giornata virtuale, i giocatori si rendono conto che non riescono più a scollegarsi. Il creatore del gioco (game master), Akihiko Kayaba, si dimostra essere un pazzo che li ha tutti intrappolati lì, disabilitando l’opzione di uscita dal menù di gioco. Se qualche giocatore, o una persona a lui vicina, prova a scollegare il nervegear o muore nel gioco, il casco invia al cervello un forte impulso elettrico che ne provoca la morte. Non c’è alcuna possibilità di resurrezione, quando i punti vita scenderanno a zero, l’avatar di gioco scomparirà e con esso anche la vita nel mondo reale. L’unico modo per lasciare SAO sarà quello di completare il gioco e battere il boss finale, situato al centesimo piano di un castello volante. Kirito rimane bloccato in quel mondo per ben due anni, in cui fa la conoscenza di un’altra giocatrice, Asuna, di cui si innamorerà. Riuscirà a battere il game master e a riportare i sopravvissuti a casa, ma allora perché la sua amata non si risveglia?
Storie
d’amore, combattimenti al cardiopalma, momenti di tristezza nel vedere alcuni
personaggi morire, una suspance continua, un mix di tutto questo è SAO. Abbiamo
però due critiche che ci sentiamo di muovere verso questo anime che andrebbe
guardato almeno una volta (e fermatevi alla prima stagione, perché è in
assoluto la migliore): il protagonista, Kirito, è il classico Gary Stu (il
Marie Sue al maschile), quel personaggio “forte perché deve essere forte”, che
anche se c’è della tensione, vince perché non è concepibile che perda. L’ultimo
tasto dolente riguarda i cattivi, i villain, che sono al pari delle macchiette,
di personaggi talmente stereotipati dall’apparire ridicoli. In generale, però,
si tratta di un anime ben fatto, di cui vi consigliamo vivamente la visione.
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