Il 2021 si è concluso ormai da qualche giorno e più ci avviciniamo ai mesi “cinematograficamente” considerati caldi, più non possiamo fare a meno di tirare le somme. Tra le fortunate pellicole che sono riuscite ad approdare in sala, tra FFP2 e complicazioni varie, dobbiamo prenderci qualche minuto per poter commentare: House Of Gucci, film diretto da Ridley Scott che racconta un dramma familiare italianissimo. Prima di iniziare, vi vogliamo ricordare che questo articolo conterrà spoiler sul film, quindi fermatevi qui se ancora non lo avete visto.
Il titolo già è rivelatore di ciò che il film cerca di mostrare nei suoi 157 minuti, due ore e quaranta per intenderci. Non si parla di quello che è il cuore scandalistico che ha coinvolto la famiglia il 25 marzo del 1995, ma si cerca di costruire un background all’omicidio di Maurizio Gucci (Interpretato da Adam Driver). Per far ciò, la scelta che è stata adoperata in fase di scrittura sembra quella di voler cercare di toccare differenti argomenti e motivazioni che hanno più o meno spinto Patrizia Reggiani (moglie di Maurizio) a commissionare l’omicidio. La narrazione, infatti, parte col raccontare il tutto dal particolarissimo punto di vista di Patrizia. La vediamo coinvolta sul luogo di lavoro fino a quando durante una festa non incontra Maurizio e lo punta neanche fosse un segugio. Per tutta la sera e per i giorni avvenire, la donna è intenta a conoscere questo uomo; un ragazzo che nella realtà Patrizia stessa ha dichiarato di averlo etichettato come “uno sfigato”. La storia, dunque, si muove tra realtà e romanzo cercando di destreggiarsi all’interno di quella che sembra quasi essere una corsa a ostacoli. Troppa carne al fuoco per un solo film che, tra le altre cose, non viene neanche adeguatamente concettualizzata e concentrata. Abbiamo questa storia d’amore che fa da fil rouge all’interno di un quadro familiare che dovrebbe essere fatto da coltellate alle spalle e condanna morale.
Se questo film fosse stato realizzato con altre premesse, sarebbe stato tutt’altra cosa, ma la sua realizzazione sembra fare acqua da tutte le parti. L’attenzione, che sarebbe stata più interessante se puntata sulle ragioni dell’omicidio (oggetto di indagine da parte degli inquirenti per anni), sarebbe stata meglio giostrata e avrebbe reso molto più accattivante il quadro che la pellicola tenta di dipingere. Quello che abbiamo, invece, è solo un cumulo di cliché che vengono accentuali dalla recitazione in lingua originale.
Questo film, infatti, ha un suo perché se doppiato e abbiamo atteso la visione in lingua originale per poter cercare di verificare questa impressione. Perché l’accento italo-americano (fingiamo che quello possa esserlo) ha presa solo sul pubblico anglofono e non su quello nostrano. La sospensione della credulità, infatti, non avviene perché si suppone che la lingua madre dei protagonisti in scena dovrebbe essere l’italiano. Quindi non si comprende per quale ragione si sia scelto di far parlare in quel modo gli attori. Avrebbe avuto senso se questa scelta fosse stata adoperata per gli istanti in cui le scene erano ambientate nel backgroung americano, come se si volesse differenziare il loro parlato natio dallo sforzo di parlare una seconda lingua (cosa che in doppiaggio sarebbe stata resa bene usando l’inglese). Per intenderci, anche tutti quei video che giravano sui vari social che mettevano a confronto l’accento della Reggiani con quello di Gaga non hanno senso. Non sono state riportate scene di interviste all’interno del film, quindi quella che gli attori parlano per tutto il tempo è la loro lingua madre o vogliamo forse credere che l’accento italo-americano è simile al milanese?
Quello che dunque ne emerge è un film che risente molto dell’ottica americana che cerca di condannare un po’ quelli che sono da sempre i valori che l’Italia ha promosso nel mondo. Sappiamo che il Bel Paese si concentra sulla famiglia, sulla gestione familiare e sul legame che si ha con le tradizioni. Si cerca di incentrare il focus sulle coltellate alle spalle, si cerca di evidenziare le frodi, i tradimenti e quanto in realtà per il business non si guardi in faccia nessuno. Vediamo il declino di un brand fatto di inettitudine e incapacità imprenditoriale, non si vede il sangue e i motivi per cui è stato sparso. Per di più, ciò che è realmente accaduto viene liquidato in fretta, fin troppo. House of Gucci è un film lungo che noi non abbiamo trovato particolarmente pesante, ma è vuoto. Parlare di Patrizia, del suo amore, della sua ossessione, del suo esser oppressa in un mondo maschile che non le permetteva di avere voce, sarebbe stato di certo più intrigante. Qui, invece, si è preferito giocare sul sentimentalismo, su ciò che nelle indagini è sempre stato abbastanza languido, romanzando su mandanti e assassini.
House of Gucci si salva per la recitazione -tranne che quella messa in atto da Leto- e per i costumi, curati nei minimi dettagli. Sogniamo ancora il cappotto cammello che circonda e veste il fisico di Adam Driver. Senza contare che è stata scelta Roma come location per le riprese quando la storia si muoveva per lo più tra Milano e altre sporadiche città.
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