Da qui è partita la nostra domanda: ma in cosa credevano, nello specifico, i Romani? In che modo la spiritualità era presente nel loro quotidiano? Così abbiamo cercato nei vari libri la risposta, e oggi ve la presentiamo.
Oltre il Lare familiare, veniva venerato anche il Genius familiaris, uno spirito più che un Dio, capace di infondere forza vitale e generatrice all’intero nucleo famigliare. Questo spirito accompagnava il capofamiglia dal momento della sua nascita a quello della morte, ed era venerato da chiunque abitasse la casa, schiavi compresi. Se il capofamiglia moriva, il Lare familiare cambiava, divenendo quello del capofamiglia successivo. Le donne, infatti, non ne possedevano uno, e se rimanevano vedove da giovani, si risposavano. Se invece erano già anziane, solitamente toccava al figlio primogenito prendere le redini della famiglia, con lui, il Lare che lo custodiva.
I Penati, invece, proteggevano le parti più intime e private della casa. Come accadeva nella società, spettava solo agli uomini occuparsi del culto, così nelle case solo i maschi della famiglia potevano offrire doni e interessarsi ai Penati. Le donne potevano, però, proteggere il fuoco di Vesta, sempre acceso nelle cucine.
Noi siamo molto affascinate da tutto ciò che è spiritualità, e siamo grate di sapere come anche i nostri parenti più lontani non siano così distanti dal nostro modo di pensare. E secondo voi? Esiste anche qualcos’altro oltre il tangibile? Se sì, ve ne prendete cura?
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