Il tema della maschera viene utilizzato due volte dalla pittrice: sia nel 1938 con appunto l’opera di cui parliamo oggi e “La mascara” di sette anni più tardi. In entrambi i casi, questo oggetto sopra il volto serve a nascondere il dolore, a celarlo allo sguardo altrui. Frida è una donna dal temperamento forte e, malgrado le debolezze del corpo, nulla ha mai piegato del tutto il suo spirito. La niña in questione è molto probabilmente lei all’età di quattro anni e la maschera che le copre il volto è tipica dell’usanza messicana del “Dia de los muertos”. Avete presente il film d’animazione Disney “Coco”? Si tratta della stessa tradizione. Si tratta di una festa appunto messicana, ma che ha origini precolombiane, in cui la morte non viene vissuta come un lutto, ma come una celebrazione. Si festeggia di solito intorno alla fine di ottobre e i primi giorni di novembre. Durante la festa, si giunge al camposanto portando fiori o offerte di cibo per la commemorazione del defunto. Non c’è tristezza, anzi, è un’esplosione di colori e di vitalità.
“Calavera” indica il teschio, la maschera che
la bambina sta indossando. Viene usata durante i festeggiamenti per celebrare
sia la nostra vita che la nostra morte, in un ciclo continuo. È un guardare al
futuro rimanendo ancorati al presente, a viverlo pienamente e ad affrontare
serenamente la morte. La bambina, appunto, sembra celebrare il “Giorno dei
Morti”, il che è evidenziato anche dal fiore che tiene tra le mani: un tagete, tipico di questa festività. La bambina
contrasta con il paesaggio desolato alle sue spalle, anche se questa differenza
sta proprio a sottolineare la solitudine della piccola. Frida è sempre stata
cagionevole di salute, infatti era nata con la spina bifida, il che non le
permetteva di giocare come tutti gli altri bambini.
Quest’opera
è del 1938, periodo in cui l’artista smetteva di focalizzare i propri dipinti
sul proprio dolore fisico e mettersi in contatto con il proprio Io interiore. Si
tratta, comunque, di una sofferenza emotiva, in quanto l’incidente di sette
anni prima e i continui tradimenti di Diego
Rivera erano per lei fonte di dolore psicologico. Inoltre lei ebbe in
quegli anni anche un aborto. Frida, che aveva sempre voluto dei figli, lo perse
durante il suo soggiorno a New York. Il suo corpo, infatti, non era in grado di
portare avanti una gravidanza e la perdita di quella vita segnò profondamente
la vita di Frida, che scrisse sui suoi diari:
“Ho smesso di contare
le volte in cui, arrivata alla seconda riga, ho cancellato e riscritto tutto
nuovamente. Cercavo un inizio ad effetto, qualcosa di poetico e vero allo
stesso tempo, qualcosa di grandioso, ma agli occhi. Non ci sono riuscita. Poi
ho capito, ricordando ciò che non avevo mai saputo: che per i grandi cuori che
muoiono nel corpo ma che continuano a battere nel respiro della notte, non ci
sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e temporali
devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto, di struggente bellezza.”
Accanto
alla bambina, c’è posata a terra una seconda maschera terrificante, che rappresenta una tigre: allegoricamente,
questo animale è associato alla giustizia, il fatto che sia ai piedi della
piccola evidenzia una giustizia negata, una ingiustizia, come quello che Frida ha
subito nei suoi cinquantaquattro anni di vita. D’altro canto, la maschera della
tigre è anche un simbolo di protezione: secondo le tradizioni messicane, questo
animale serviva a proteggere i bambini dal male. Innocenza e crudeltà si
mescola in questa opera, dando un significato di pesantezza dello spirito. Il contrasto
tra vita e morte, tra collettività e singolo trovano il loro exploit in questa
rappresentazione. Ma non tutto è perduto: alle spalle della bambina, ai piedi
delle montagne, qualcosa fiorisce dal terreno sabbioso: potrebbe essere una
pianta, un fiore, potrebbe essere qualsiasi cosa: ogni nuova vita che nasce è
una incognita, una nuova vita e un nuovo destino.
A
oggi, l’opera è conservata nel Nagoya City Art Museum giapponese.
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