Chi è nato prima degli anni 2000 è cresciuto con le mini-serie televisive che venivano trasmesse nel pomeriggio di Italia Uno (ma anche sugli altri canali della Mediaset). Desideria, Sorellina e Fantaghirò sono solo alcuni dei nomi di eroine con la quale in molti hanno conosciuto il racconto epico. Donne forti, femminili, innamorate e appassionate. Donne che si battevano per la propria famiglia, per la propria libertà e soprattutto per i propri ideali. Donne scritte e portate in scena da un uomo: Lamberto Bava che, in occasione dei trent’anni dall’uscita di Fantaghirò, ha ritirato il premio alla carriera che l'Heroes International Film Festival gli ha riconosciuto.
Nel celebrare il genere, e le maestranze che ne tessono le trame, il Festival ha riconosciuto a questo geniale uomo il premio: Heroes Master Award, lasciandolo poi interagire con il suo pubblico in un incontro generazionale davvero molto interessante.
Lamberto - classe 1944 - è figlio e nipote d’arte, sia suo padre che suo nonno sono stati entrambi grandi autori e maestri nel cinema italiano. Il nonno, Eugenio Bava, è stato uno scenografo, uno scultore e un direttore della fotografia; mentre suo padre, Mario Bava, ha non solo preso in mano l’eredità paterna, ma ha diretto film come: Sei donne per l’assassino (1964), I tre volti della paura (1964), e tanti altri.
“Io sono la terza generazione di cinema. Fin da bambino, giocando sotto le gambe di un tavolo sentivo mio padre e mio nonno che parlavano di inquadrature, di trucchi, di cose del genere. Però, fino a una certa età, non mi sarei mai aspettato di poter fare cinema. Anche perché ero di una timidezza assoluta. Ho racconti di mio padre che mi portava per mano, a cinque, sei anni, in teatro nel quale giravano attori del tipo: Aldo Fabrizi. Ecco, per me Aldo Fabrizi era un orco e non mi volevo avvicinare a lui. Quindi potete immaginare… verso i diciassette, diciotto anni, ricordo una sera, a villa Sciarra, durante le riprese di Sei donne per l’assassino, il film di mio padre. Di notte, a un certo punto, saranno state le due, si doveva cambiare inquadratura spostandoci… quindi improvvisamente al buio, ho cominciato a vedere le luci che si accendevano sul set… quelle luci, quella magia mi hanno fatto pensare che forse questo sarebbe stato il mio ambiente, voglio cercare di entrare in questo ambiente”.
Il genere, dunque, che sia quello dell'orrore o quello epico, sembra avercelo nel sangue. Cresciuto in un ambiente che ha favorito la sua formazione da cineasta, sicuramente è riuscito a sfruttare ogni singola piccola perla appresa fin dalla più tenera età per poterla inserire all'interno del proprio cinema:
“Io credo di avere il genere fantastico nel DNA. Mio padre era una persona incredibile. Credo che Mario Bava è stato il genitore che tutti vorrebbero avere, perché stava trenta/quaranta anni avanti… era uno di quelli che diceva la mattina: ma che ce vai a fare a scuola, te lo do io un libro da leggere. Quindi io andavo a scuola, non dico di esser stato il primo della classe, però non andavo male. Ogni tanto mi passava da leggere qualcosa e guarda caso era sempre qualcosa di genere fantastico o epico. Sono, quindi, rimasto da sempre affascinato dal genere fantastico. Da più grande, ma anche adesso, se in sala ci sono diversi film il primo che vado a vedere è quello di genere fantastico”.
Ma essere figlio e nipote di talenti che ti hanno preceduto con una notevole fama non è affatto facile. Infatti, Lamberto, davanti a una delle domande del pubblico in sala ha tenuto a specificare:
“Prima dico una cosa… non per forza essere figlio è facile. Quando sei figlio e sei bravo ti dicono “eh per forza, con quel padre” e se non sei bravo non dico le parole che vi riservano".
La domanda di una madre, era ben più che legittima, considerato che il figlio sta frequentando l'Istituto Tecnico Superiore Rossellini, per diventare anche lui uno dei prossimi nomi del cinema italiano:
Mio figlio non ha avuto la fortuna di essere in una famiglia così creativa come la sua. Cosa consiglia a questi giovani che si affacciano a questo mondo così competitivo? Quali sono le doti che dovrebbero avere?
"Confesso che una delle prime cose che si devono avere, a qualsiasi livello di appartenenza al mondo del cinema, è l’amore per il cinema e per lo spettacolo… per quello che fai e per quello che stai facendo. Un’altra cosa è la perseveranza, la voglia di voler continuare a provare perché è molto importante continuare a provare, ad apprendere, sapere e andare avanti. Avere la forza di partecipare, il cinema e la tv vanno sentite. Nel cinema più partecipi, più fai di quello il tuo mondo, più riesci".
Secondo te, in Italia, c’è un certo pregiudizio nei confronti del genere? Perché non facciamo un trono di spade italiano?
“Allora c’è sempre stato un pregiudizio sul genere, non parlo di me… ma in questo caso di mio padre. Lui ha sempre fatto film gialli, horror… thriller, e lui non leggeva mai le critiche sui suoi film perché sparavano a zero. Poi successe che, invece, negli Stati Uniti e in Francia mio padre era accolto come un regista di un certo peso. Non a caso, Tim Burton al festival del cinema di Roma, ha detto di esser stato molto influenzato da Federico Fellini e Mario Bava.”
“Io già lavoravo a quei tempi per Mediaset, avevo già fatto due serie e qualche film se non ricordo male. Ai tempi c’erano, in Mediaset, Riccardo Tozzi come direttore della fiction e il suo vice Rosario Rinaldo, e si poteva parlare con loro di cinema e delle tue idee senza nessun limite. Mi ricordo sempre di una mattinata nella quale buttai lì per caso un’idea con Rosario Rinaldo… che poi era un’idea che aveva avuto tempo prima mio padre, che però non aveva portato avanti. L’idea era quella di far qualcosa traendo ispirazione dalle favole di Calvino. Rileggemmo tutti gli scritti di Calvino e puntammo l’attenzione su una favoletta di poche pagine che si chiamava Fantaghirò persona bella. Calvino era morto da poco tempo e gli eredi non lasciavano i diritti facilmente. Quindi il progetto fu dimenticato lì per lì; due anni dopo, girando una serie all’interno della biblioteca di Livorno chiesi alla direttrice di cercare una storia nei libri della tradizione toscana -perché sapevo che Calvino avesse ripreso le sue storie proprio da lì- e lei due giorni dopo mi fece vedere un libro stampato a metà dell’Ottocento. Lì vi era la storia di Fantaghirò, para para per come era stata trascritta da Calvino, solo che era libera da i diritti d’autore e allora venne usata come base per la nostra storia”.
Una cosa ci ha più di tutto il resto colpite: le intenzioni con la quale questa storia ha preso vita. Lamberto odia, infatti, parlare di ascolti, ma è innegabile il successo generazionale che i suoi film hanno avuto:
“Con Fantaghirò l’intenzione era quella di mettere davanti la televisione padre, madre e figli. Quindi di dare, alla famiglia italiana, un prodotto che potesse piacere a chi guardava la partita la domenica, a chi guardava già la fiction e ai bambini qualcosa che potesse appassionarli.”
Abbiamo, infine, avuto modo di chiedergli quali fossero i film che avessero formato l’immaginario della sua infanzia:
“Il mio primo film fu una favola. Ho un ricordo… non brutto, però… avevo cinque anni e mia madre e mio padre mi portano in un cinema di quartiere a vedere Bambi. Avevo cinque anni e mi trascinarono fuori che piangevo da un quarto d’ora, perché quando uccidono la madre... per me era un film horror. Poi mi ricordo La scala a chiocciola che a dodici-tredici anni, non dico che me la sono fatta sotto, ma mi ricordo l’attore George Brent che era l’assassino che ammazzava le donne e, nel film, si vedeva il suo occhio all’intendo dell’armadio di vestiti delle sue vittime… e il fatto che le guardasse l’ho sognato per qualche notte”.
Oltre a quelli già citati in questo articolo, uno dei film che vi consigliamo di recuperare è sicuramente "Ghost Son", un horror che chi sta scrivendo questo articolo ha visto da piccolina e che conserva nel proprio immaginario.
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