Ormai è legge: se parliamo di un dipinto e non abbiamo ancora preso in considerazione la vita dell'artista che ha fatto nascere il dipinto in questione, dobbiamo parlarne.
E con queste premesse, oggi - come avrete probabilmente capito dall'articolo de "L'urlo", uscito un paio di settimane fa - vi presentiamo Edvard Munch, un artista le cui opere sono tanto conosciute quanto è sconosciuto il suo vissuto.
"La malattia, la follia e la morte sono stati gli angeli neri che hanno vegliato sulla mia culla e mi hanno accompagnato tutta la vita"
Nato il 12 Dicembre 1863 a Løten, a sud della Norvegia, Edvard Munch era il secondo di cinque figli di Christian Munch e Catherine Bjølstad.
Dopo solo un anno dalla sua nascita, per via del nuovo impiego ottenuto dal padre nel ruolo da medico (che lo portò a lavorare alla fortezza di Akershus), la sua famiglia si trasferì a Christiania, l'attuale Oslo, ma dopo soli cinque anni la sua vita fu stravolta dalla morte della madre - uccisa dalla tubercolosi - e, dopo altri nove anni, dalla morte della sorella maggiore, Johanne Sophie - uccisa dalla medesima malattia della madre -.
Fu dopo la loro morte e dopo essere stato preso in custodia dalla zia (che continuò a crescerlo insieme al padre) che il giovane Edvard iniziò ad avvicinarsi all'arte e alla lettura, tanto che si appassionò profondamente allo scrittore Edgar Allan Poe; però, la sua salute mentale in perenne declino peggiorò drasticamente, soprattutto dopo l'inizio di un profondo stato depressivo in cui entrò suo padre - anch'esso molto provato dalla morte della moglie e della figlia -, la morte di suo fratello, Peter Andreas, morto subito dopo il suo matrimonio e l'inizio delle crisi psichiche di sua sorella, Laura Catherine.
Inoltre, la loro situazione economica era così precaria da permettergli di vivere, sì, ma di stenti e in una condizione di costante povertà.
Comunque, nonostante ciò, nel 1879 iniziò a frequentare un Istituto Tecnico per studiare ingegneria, ma interruppe gli studi per dedicarsi all'arte, iscriversi alla Scuola di Disegno di Oslo e cambiare dopo un solo anno per trasferirsi nel 1881 alla Scuola d'Arte e Mestieri.
Qui studiò con passione e dedizione, e dipinse le sue prime opere d'arte (vari nudi, un autoritratto e un ritratto di suo padre). Durante questi anni si avvicinò allo stile naturalista e impressionista e fece amicizia con il noto scrittore anarchico Hans Jæger, che lo portò a rivoluzionare completamente la sua vita e a scrivere un diario, da lui chiamato "Diario dell'anima", in cui fece un profondo lavoro introspettivo e da cui nacquero una serie di tele chiamate "Tele dell'anima", in cui Munch ricorda e raffigura la sorella maggiore, con cui aveva un rapporto molto stretto.
Queste tele, considerate per l'epoca scandalose, vennero stroncate dalla critica e criticate pesantemente, ma comunque difese quasi a spada tratta da vari amici e colleghi, tra cui il suo insegnante e critico d'arte Christian Krohg. Pian piano, nel corso del tempo, iniziò sempre di più a sviluppare il suo stile che poi sarebbe divenuto il suo marchio di fabbrica: dietro una composizione apparentemente realistica, infatti, l'artista vi nasconde sempre la rappresentazione di un determinato stato d'animo.
Dopo una serie di altri dipinti vinse - nel 1889 - una borsa di studio per Parigi, città in cui ebbe l'opportunità di studiare sotto gli insegnamenti di Léon Bonnat.
A Parigi arrivò giusto in tempo per l'inizio dell'Esposizione Universale del 1889 e, già considerato un prodigio, fu inserito nel padiglione della Norvegia un suo dipinto del 1884: "La Notte".
Se il pomeriggio veniva passato all'EXPO o in giro per musei (in cui venne ispirato da artisti come Vincent van Gogh, Paul Gauguin e Henri de Toulouse-Lautrec), la mattina era dedicata alle lezioni di Léon Bonnat, che però lo "annoiarono, stancarono e intorpidirono" dopo pochissimo tempo. Fu per questo e per la morte del padre - di cui venne a conoscenza proprio nel suo periodo parigino - che si trasferì a Saint-Cloud, un comune dell'Île-de-France.
Christian Krohg, che apprezzava particolarmente l'arte del suo vecchio allievo, ne parlò in modo tanto positivo da farlo diventare piuttosto famoso in Germania e la sua personalità non sfuggì certo al pittore norvegese Adelsteen Normann, che decise di prenderlo sotto la sua ala e gli propose di esibirsi a Berlino, città in cui Munch fece non poco scalpore.
Nel frattempo, nonostante la sua crescente fama e ricchezza, la salute mentale dello stesso pittore (unita alla sua dipendenza dall'alcol) riprese a declinare e così Munch, ormai sull'orlo, decise di entrare nella clinica del dottor Daniel Jacobson, in cui fu ricoverato per otto mesi e ne uscì sicuramente in migliori condizioni, ma sempre consapevole degli imminenti crolli nervosi.
Ormai ben più che benestante, dopo essersi appropriato di numerose proprietà, il pittore andò a vivere nella sua villa a Oslo con un cavallo e numerose giovani donne, che ritrasse in una serie di nudi.
Con l'avvento del nazismo la sua arte, assieme a quella di Pablo Picasso, Paul Gauguin, Ernst Paul Klee, Henri Matisse e quella di tanti, altri fu definita: "arte degenerata", e a cause di questa nomea quasi un centinaio delle sue opere vennero istantaneamente rimosse dai vari musei tedeschi.
Morì nel 1944, un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.
"Come Kafka, anche Munch non cessa mai di sentirsi misteriosamente colpevole e perseguitato dai propri spettri. E nei suoi quadri non farà altro che "scrivere" e "riscrivere" la sua vita: un'autobiografia dell'anima per immagini, o meglio un'anatomia delle catastrofi dell'Io, imprudente nell'intensità, provocante nei mezzi. Chi guarda sbatte contro quell'ansia e vi riconosce la propria: non vi è dubbio che tra i pittori, Edvard Munch è colui che più di ogni altro, ha saputo dare volto alla psiche moderna."
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