Non temete, crediamo che molti di voi non abbiano aperto un suo album a fumetti, ma che casualmente al massimo abbiate letto qualche sua vignetta in giro per il web. Fumettista satirico, Michele Rech ha fatto della romanità la propria forza e adesso -grazie a Netflix- la sta rendendo globale. Vi abbiamo già parlato del progetto creativo che vi è dietro “Strappare lungo i bordi”, invece, oggi vogliamo soffermarci proprio sulla visione dei primi due episodi di questa serie così per darvi un ulteriore approfondimento su ciò che vi attende nel momento in cui sentirete quel familiare “tadan” (non vi neghiamo che ha fatto un certo effetto vederlo in sala sul maxischermo).
Dal 17 novembre, in 190 paesi, Zero Calcare si racconta con la propria voce. Dà vita, così, a una rapida digressione che mette in mostra un arco narrativo che si sviluppa su diversi piani temporali. La narrativa è, infatti, principalmente in orizzontale e nel corso dei primi due episodi noi abbiamo modo di vedere questo viaggio dal destino prestabilito, un percorso da seguire lungo i bordi per l’appunto; ma dall’altra parte abbiamo dei segmenti in verticale che troncano la narrazione della storia e ci fanno conoscere più in profondità il modo di pensare e di agire dello stesso Zero, quasi come se egli stesso volesse giustificare il proprio flusso di pensieri e per farlo mostra allo spettatore da dove questo viene. Quindi i flashback si alternano alla voce narrante che parla e ci confessa come lui si sia innamorato di Alice e di come con lei non riuscisse a dir neanche una sola parola, ma si scrivevano un sacco.
Attimi, salti nel passato, che ci permettono di scoprire i momenti nella quale abbiamo deluso qualcuno, o piccoli consigli su come potersi cambiare in bagno; il tutto in soli 15 minuti di episodio. Gioca, dunque, con lo spettatore e nella sua ritrovata universalità lo prende a schiaffi -o pizze, come direbbe lui- perché in fondo mostra e racconta qualcosa che può appartenere agli “impicciati” come lui, quella fetta di pubblico che entra in contatto con le sue opere e che simpatizza non solo con lui, ma con tutto il flusso di coscienza che viene incarnato in ogni singolo personaggio. La sua voce, del resto, la fa da padrone e ci illustra un particolareggiato e personalissimo punto di vista interno. Noi non guardiamo realmente la storia, ma sentiamo la versione raccontata al bar fatta da Zero stesso. È lui che si mette a nudo con il suo punto di vista e lo fa diventare parte dello spettatore, facendolo ridere e intrattenendolo, pronto a dargli quello schiaffettino sul volto per rassicurarlo.
Nei soli primi due episodi Zero, attraverso il suo racconto, riesce a dare un ampio spaccato delle personalità umane. Fragilità, insicurezze, l’essere impicciati -perché sì, forse in fondo lo siamo un po’ tutti- e cerca di fornire la chiave per poter uscire da quello stesso impiccio. Ma del resto la vita è un po’ così… un destino da dover seguire restando lungo il tracciato; un bordo da dover staccare dall’altro fino al completo distacco.
Perciò mettetevi comodi, lasciatevi trasportare dalla voce di Michele per poter conoscere Alice, Sarah, Secco e per farvi rimproverare dalla voce dell’armadillo (di Valerio Mastrandrea).
Nessun commento:
Posta un commento