Tra i film in selezione alla Festa del Cinema di Roma vi era un musical dal cast abbastanza popolare: Dear Evan Hansen; pellicola che sarà in uscita la prossima settimana. Noi non sappiamo quanti amanti dei musical ci siano tra di voi lettori, chi sta scrivendo questo articolo spera che siate in molti, ma vi preghiamo di non entrare in sala o di non vedere questa storia se la vostra principale attività sarà quella di sbuffare superate le tre canzoni. È un musical, per tanto gli attori devono cantare per poter esternare la loro emotività. I sentimenti più profondi, amori e paure nello specifico, servono per poter mettere a nudo l’animo dei personaggi e per poterne esaltare la loro caratterizzazione. Quindi… sì! Cantano e pure parecchio, siate consapevoli e approcciate a questa pellicola, come alle altre del genere, informati sul fatto che gli attori sono stati scelti e messi davanti a una telecamera proprio per fare ciò.
Il suo personaggio prende vita dall’interpretazione meravigliosa che porta in scena Ben Platt (lo avete già visto in Pitch Perfect 2 o in The Politician). Ben è un ottimo cantante e porta una grande sensibilità all’interno delle sue performance attoriali. In The Politician riesce a essere arrivista e cinico come solo chi ha la politica americana nel sangue sa essere e in questo film, invece, riesce ad essere complesso, complicato, delicato e fragile come solo un adolescente “fratturato” può essere. Evan Hansen è un ragazzo liceale che ha grosse difficoltà nel riuscire a relazionarsi con i suoi pari. La sua incapacità comunicativa, il suo essere introverso, lo rendono quasi inadatto al contesto sociale in cui vive. L’unica cosa che riesce a farlo andare avanti è il suo amore platonico per una compagna di classe: Zoe Murphy (Kaitlyn Dever).
Zoe, però, non è nuova alle situazioni complicate. Infatti, suo fratello ha diversi problemi di gestione della rabbia e per tale ragione viene considerato “quello matto”. Connor (Colton Ryan) è una testa calda che si avvicina, per una serie fortuita di ragioni, all’introverso Evan; tanto da firmare col proprio nome il gesso che porta Evan al proprio braccio. Dopo quella firma, a causa di una lettera, Connor penserà che Evan voglia prendersi gioco di lui, come tutti gli altri, finendo col prendere la decisione più estrema di tutte: quella di togliersi la vita.
Dopo la dipartita di Connor, i genitori del ragazzo sono portati a pensare che Evan sia il suo migliore amico e il ragazzo si ritroverà coinvolto in una spirale di bugie bianche che hanno, dapprima, il solo scopo di far sentire meglio la famiglia che sta vivendo il lutto; successivamente, far sentire meglio se stesso perché finalmente ha tutto quello che non aveva mai avuto. Evan, infatti, si ritrova ad avere una famiglia che lo cerca, che lo circonda col proprio amore, e ha la possibilità di passare quanto più tempo possibile con Zoe.
Il titolo del film nasce dal compito che lo psicologo ha assegnato a Evan: scrivere una lettera a se stesso per poter cercare di evidenziare e trovare le cose positive e non nella propria quotidianità. Connor verrà trovato con in tasca proprio una di queste lettere e da ciò nascerà il disguido sul crederli migliori amici.
Mettendo da parte la trama e ciò che avverrà nel corso della narrazione, è necessario parlare di un film come questo per le tematiche che affronta: la depressione giovanile. L’argomento, infatti, viene trattato sotto molteplici punti di vista e anche da diverse personalità per poter far capire, allo spettatore, che non esiste un unico modo per poter affrontare questa flotta di pensieri negativi. Evan, Zoe, Connor, Alana (Amandla Stenberg), o persino i genitori dei protagonisti, si ritrovano a dover fare i conti con i propri sentimenti e con un qualcosa con la quale non è facile scendere a patti. La negatività, l’emotività, che in fin dei conti fa parte di ognuno di noi, andrebbe debellata con il giusto ascolto, con le dovute cure e per fortuna i ragazzi iniziano a muoversi in questa direzione perché il corpo studentesco inizia a comprendere l’importanza della salute mentale. Questo è un aspetto che nella società moderna, nonostante l’incidenza di casi -specialmente giovanili- viene ancora considerato come un tabù. La storia che viene portata sul grande schermo da Stephen Chbosky -regista dell'adattamento cinematografico- invece si interpone proprio tra il confine tra luce e ombra su tale argomento. Ne vengono, così, messe in risalto sia le criticità -il lato tabù- così come i lati in luce -il supporto che i ragazzi stessi riescono a darsi-.
Dear Evan Hansen è un film che commuove e che tocca le corde giuste per poter permettere al pubblico di rintracciare in sé quegli stessi sentimenti affini e simili a ciò che provano i personaggi sulla scena. Una storia che ci dovrebbe essere d'ispirazione o monito per farci comprendere quanto sia importante il potere della condivisione e della comunicazione dei propri sentimenti.
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