Se dovessimo descrivere con un solo aggettivo il romanzo “L’aria innocente dell’estate”, di Melissa Harrison, utilizzeremmo senz’altro “commovente”.
Abbiamo avuto modo di leggerlo in anteprima grazie alla Fazi Editore ed è stata proprio la commozione il sentimento che più abbiamo avvertito durante le nostre ore di lettura.
Melissa Harrison è entrata fin da subito nel cuore degli inglesi, che l’hanno paragonata a Thomas Hardy e Charlotte Brontë; noi la vediamo oggi per la prima volta nelle librerie italiane, quindi non possiamo assolutamente perderci il suo nuovo romanzo, pronto a impreziosire la nostra collezione.
Abbiamo avuto modo di leggerlo in anteprima grazie alla Fazi Editore ed è stata proprio la commozione il sentimento che più abbiamo avvertito durante le nostre ore di lettura.
Melissa Harrison è entrata fin da subito nel cuore degli inglesi, che l’hanno paragonata a Thomas Hardy e Charlotte Brontë; noi la vediamo oggi per la prima volta nelle librerie italiane, quindi non possiamo assolutamente perderci il suo nuovo romanzo, pronto a impreziosire la nostra collezione.
Siamo nelle campagne inglesi degli anni Trenta, Edith Mather ha quattordici anni e vive in una fattoria assieme alla sua famiglia.
Lei è creativa, con una spiccata fantasia e nutre una passione per la letteratura, il tutto la fa quindi risultare una ragazzina con la testa sulle nuvole e poco consona alla dura vita di campagna, in poche parole sembra essere un’estranea dentro casa sua. Se fin dai suoi primi anni scolastici ha sempre avuto il sentore di non appartenere alla comunità del villaggio, adesso si sente allontanata persino dai suoi stessi famigliari che vede con occhi del tutto diversi.
La solitudine che prova è iniziata con il matrimonio di sua sorella Mary, ora madre, che le ha fatto perdere un faro fondamentale per la sua crescita, una luce che ritrova con l’arrivo di Constance FitzAllen: una giornalista londinese giunta in paese per scrivere della vita quotidiana dei contadini.
Articolo dopo articolo, Constance esalta la vita rurale e diventa una presenza così costante – scusate il gioco di parole – da far dividere gli abitanti: c’è chi la prende in simpatia e si fida dei suoi modi e chi invece ha il sentore che ci sia qualcosa che non vada.
Constance è una donna di città che porta i pantaloni, non si tira indietro davanti alla possibilità di affaticarsi, ha un carattere pungente ed è attiva dal punto di vista politico, eppure sono proprio le sue idee e il modo in cui le espone a renderla pericolosa.
Gioca forse con l’ingenuità dei contadini che non hanno potuto usufruire di un’istruzione adeguata, che per lo più non sono mai usciti dalle terre natìe e che soprattutto combattono ogni giorno contro i raccolti miseri, conseguenza della Grande Depressione, e la poca forza lavoro a disposizione, conseguenza della Grande Guerra.
Nell’estate dei suoi quattordici anni, Edith è divisa tra il suo dovere nei confronti della famiglia e tra il cercasi con ogni mezzo la possibilità di evadere. In questa lotta interiore, dovrà anche cercare di salvarsi da un tremendo incidente…
Quante volte ci siamo sentiti dire, o forse l’abbiamo detto noi per primi: “Si stava meglio quando si stava peggio”? Ecco, storie come questa ci fanno capire quanto la nostalgia tenda a indorare i ricordi, rendendoli più dolci di quanto non fossero.
Tutto questo processo ci aiuta sicuramente da un punto di vista psicologico, ma cadere nella sua trappola è rischioso e può (ri)portare in auge pensieri estremisti e altamente nocivi per l’intera società.
Negli anni Trenta, come oggi, era forte il sentimentalismo che portava le persone a credere che la tecnologia fosse il male del secolo, che tornare a una società passata voleva dire riscoprire i veri valori e che il malessere odierno era colpa di altre persone, per lo più di quegli stranieri che venivano per vivere come parassiti, incuranti delle regole e delle leggi. Vi ricorda qualcosa il terribile esito di queste convinzioni?
Il passato è maestro e noi abbiamo avuto la grande fortuna di imparare a cosa portano queste credenze senza aver mai provato sulla nostra pelle il dolore di quegli anni.
Siamo tutti figli o nipoti del boom economico, siamo tutti cresciuti con il piatto pronto a tavola – soprattutto i boomer stessi che con una sola terza media hanno potuto aspirare a ruoli professionali che adesso plurilaureati possono solo sognare – eppure continuiamo ad avere qualcosa in comune con i nostri nonni e bisnonni: siamo convinti che il passato sia sempre migliore del presente.
È compito di ogni generazione lasciare un mondo più civilizzato, unito e capace a quelle future e se andiamo ad analizzare davvero quello che è stato, vediamo una società patriarcale, dove la donna non ha alcun potere decisionale se non in linea con la volontà del marito, dove non può avere una carriera, o qualsiasi tipo di libertà. La donna deve essere solo moglie e madre, l’uomo deve essere lavoratore, duro di carattere e non permettersi di avere dei sentimenti. Amare chi si vuole è fuori discussione: i matrimoni sono combinati e alla donna non è mai chiesto il consenso. Guai, poi, anche solo pensare ad amare qualcuno del proprio stesso sesso.
Come può tutto ciò essere definito “migliore”?
Leggere “L’aria innocente dell’estate” dovrebbe farci rallentare un attimo, analizzare la nostra vita e chiederci che società consegnare agli adulti di domani.
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