Scarica elettrica, la stessa che corre sotto la pelle di ogni singolo uomo o donna su questo pianeta. Un sistema nervoso di stimoli e risposte che si innervano nel ritmo pulsante del cuore.
Adrenalina che dal cielo piomba direttamente al suolo e lo rende vivo.
Scintilla che tra le nuvole incendia il punto colpito.
Respiro, fiato, sospiro. Un attimo.
Respiro, fiato, sospiro. Un attimo.
Sono rapido, sono la luce.
Venerato, temuto, sconfitto e, adesso, ingabbiato.
Ho fatto, per lungo tempo, urlare nel cuore della notte l’uomo che timoroso mi vedeva piombare e incendiare. Ho fatto tremare i popoli con la mia potenza, il mio suono ha preannunciato la tempesta. Si pregava per la calma, si pregava perché cessassi.
Il giovedì era il mio giorno. E non importava la lingua parlata, l’effige realizzata e idolatrata. Non c’era cultura che non mi invocasse, popolo che non mi conoscesse. Ero la natura, ero la furia.
Il mio nome era temuto, invocato, venerato, cambiato nel corso del tempo. Per alcuni ero Thor, per altri Giove, per i Greci Zeus. Il sovrano dei guerrieri, il protettore della caccia e del bel tempo. Sovrano di sogni e paure. Per i Normanni ero persino più importante di mio padre, per altri un fedifrago che ha generato interi e potenti eroi. Il Re dei re che proteggeva le loro conquiste, il padre delle divinità. Cambiava il nome, cambiavano i miei meriti, cambiava il mio mito, ma cresceva la mia potenza. Latini e Greci ergevano templi in mio nome per poter invocare la mia protezione.
Scaldavo la notte, dopo la pioggia, ma adesso? Cosa ne è rimasto adesso?
Il mio mito era più forte del mio nome, le mie gesta guidavano gli impavidi. La rapidità, la forza, l’adrenalina. La bellezza del combattimento era la mia e per il mio benestare lauti erano i banchetti. Mie erano le donne, che si aprivano come fulgi rosei boccioli primaverili. Ho guidato l’arte, l’immaginazione dell’uomo perché meno mi conosceva, più poteva godere della mia forza. Più mi temevano, più io ne godevo. Ma adesso?
Adesso… l’uomo ha perduto la fede. L’uomo ha dimenticato chi ero, cosa facevo, cosa volevo. Deriso, schernito… mi hanno messo in testa le ali di Ermes. Ridicolo. Ingabbiato, rinchiuso. Dolorante, ferito. Eppure… loro devono tutto a me. Ancora oggi, se possono scaldarsi è grazie a me. Da dove pensano che arrivi ciò che chiamano elettricità? Corro nei loro infimi fili di rame, nei loro circuiti e regno nell’elettricità che accende gli schermi di cui sono schiavi.
Il secolo dei lumi ha cambiato il mio assetto. Sono controllato, ma se non esistessi sarebbe il caos. Provassero a spegnere la luce. Provassero a staccare la corrente dalle loro dimore, cosa gli resterebbe se non una tediosa serata fatta di paura? Tornerebbero tutti ingabbiati da Platone all’interno della loro caverna. Tornerebbero ad avere paura delle fiere che si celano al buio. Scoprirebbero che quelle stesse bestie sono loro, che è la loro natura quella della delinquenza.
La tecnologia mi ha rinchiuso in quei dannati fili elettrici che intercorrono nelle mura delle case degli uomini. Quel reticolato che meraviglia tanto durante la notte, viene disegnato da me. Chiuso in un caricabatterie, un mezzo che loro continuano a venerare come un’effige appesa a una parete.
La luce, la corrente: non è Dio, ma loro credono.
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