Oggi va di moda la lotta al “body shaming”. Una guerra contro quelli che, in un modo o nell’altro, nel corso della propria vita hanno fatto sentire sbagliato chiunque non rientrasse in un normativo canone estetico. Il mio dissidio con la bilancia non è cosa nuova, la sto mettendo a nudo giorno dopo giorno in una lenta odissea alla ricerca di casa mia. Alla ricerca del mio corpo.
Convivere con un disturbo alimentare non è di certo una grande cosa. Guardare ciò che ci si mette nel piatto e sentirsi in un qualche modo scorretti semplicemente perché ci si sta nutrendo, ti fa entrare in un baratro di percorsi sempre tentennanti e incerti. Mangi, forse troppo, forse il giusto, ma mangi. Ti senti sporco come se avessi ingerito la cosa peggiore del mondo, nell’orario peggiore del mondo e allora inizi a farlo negli orari sbagliati: quando nessuno può vederti. Per tanto tempo, infatti, nonostante fosse “l’orario di pranzo” cercavo di evitare lo sguardo altrui perché era come se potessi leggere nella loro testa. I loro occhi mi dicevano che avrei dovuto saltare qualche boccone almeno, male non mi avrebbe fatto. Perché se sei ciccione perdi il diritto al nutrimento, senza neanche renderti conto che facendo così cadi sempre più in basso. Sempre più profondo.
Tondo tondo si
Tondo tondo
Ro-to-tondo
To-to-tondo ciccione
Perché sì, forse qualche boccone lo potresti saltare, ma allo stesso tempo perdi il controllo. E allora senti le risate, vedi le dita puntate, percepisci lo scherno. Una battuta, poi un’altra. Un finto sorriso, una cicatrice. Ti dici che non importa e allora vai avanti.
Avanti, all’infinito. Salti un pasto, mangi per due a quello successivo. Perché la fame resta e non nasce dalla carenza di energie. Un verme solitario che ti divora l’intestino e il cervello. Un tarlo che ti ricorda che nel frigo hai del cibo e che va consumato tutto in una volta.
Le parole scivolavano nell’elica
Che muove la mia etica
“Fai finta di nulla”
Mi chiamavano
Mi sfottevano
Continuavano
Senza mai colpirmi abbastanza
Il mio nome
Era soldato ciccio-bomba
Per colpa della forma
Abbondante dei fianchi
Le parole della canzone di Luigi suonano forte in me, mi ricordano com’è stato il liceo. Portano alla mente le ragioni per cui ho lasciato uno degli sport che tanto amavo, mi fanno sentire debole allora, forte adesso. Come De Niro allo specchio, provavo le cose da dire, provavo a convincermi che non me ne importava e forse ero davvero brava a mentire a me stessa. Sono cose che ho capito durante la pandemia. Sono parole che mi sono vista addosso solo quando ho scavato dentro e ho messo spalle al muro quella fame. Adesso le parole sono cambiate, esattamente com’è cambiato il mio corpo. Guardo la pelle in eccesso e non la odio, nonostante voglia con tutta me stessa mandarla via. L’amerò fino a quando starà con me, perché è il segno di quanto più forte io sia riuscita a essere.
Per alcuni è così divertente scoprirti i difetti per renderti un gioco
E provare a levarsi la noia
Nel darti più noia
Aspettando un tuo sfogo
Non mi rubate l’attenzione
Non mi cambiate l’emozione
Voi non mi fate niente
Siete un ambo io la tombola
Perché sì. Ogni tanto va ricordato: non ci sono parole peggiori di quelle che noi possiamo dire a noi stessi. Gli scherni degli altri attecchiscono in un terreno fertile fatto di paure e insicurezze. Se ci ricordassimo il valore che abbiamo, al di là del peso, della forma, della dimensione, non ci sarebbero boia in grado di scalfirci. Voi non mi fate niente… e ciccione è solo uno schermo che separa chi lo usa da chi viene usato.
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