Ecco quelle impronte goffe sono le nostre memorie. Frammenti di sé, segni di un passaggio che è finito e che allo stesso tempo permane.
Ma non è solo dentro di noi, le impronte dei polli/gabbiani lo dimostrano.
La memoria è nelle cose, la memoria è delle cose. Sulla prima affermazione sono sicuro, sulla seconda invece ho solo divagazioni.
Prendete gli stracci, guardateli. Pensiamo allora per un attimo che possano avere non solo una qualche forma di coscienza, ma anche qualche forma di memoria.
Forse dovrei smetterla di umanizzare gli oggetti.
Lo straccio è quell'oggetto bistrattato che ci libera dallo sporco e dalla polvere superflua.
Senza chiederci niente in cambio, si logora, si macchia, per rendere pulite le nostre case.
In un certo senso, assorbe il male dentro sè, liberandoci da questa zavorra.
Un compito eroico e altruista, eppure di questo nessuno ha riconoscenza. Non credo che nessuno di voi abbia mai ringraziato uno straccio. Anzi, nel linguaggio ordinario è utilizzato come metafora negativa.
Ecco pensate se quella cosa dovesse aver memoria. Pensate a come si possa sentire quando diviene gremito della nostra sporcizia.
Quando assorbe quel residuo negativo d'esperienza presente nella casa.
E continua ad assorbire, invecchiando in maniera disinteressata per noi e per il nostro benessere.
Ebbene forse anche noi siamo così. Siamo stracci che assorbono esperienze. Una volta che abbiamo finito di assorbire la polvere del fato, saremo buttati via nell'indifferenziata dell'universo. Nell'indifferenza dell'universo.
"Le memorie s'incrociano
tra stringhe e lacci,
vissuti che combaciano
nel triste destino degli stracci".
(Gianluca Boncaldo, Stracci)
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