Sono domande difficili, alle quali la psicologia cerca da sempre di trovare una risposta. La cinematografia, così come l’intero immaginario umano, ha cercato di colmare questa incomprensione creando mostri più o meno deformi che, in un qualche modo, hanno esorcizzato le nostre paure. Ma quando il mostro è dentro di noi? Quando quei cocci rotti rivestono la nostra superficie e la frammentano ancora e ancora?
Forse è in questo istante che possiamo comprendere l’animo più profondo di Pearl. Soprattutto possiamo comprendere le sue crepe, il suo agire, la sua isteria e psicopatia. Possiamo capire come una vita vissuta davanti al proibito crei un profondo dissidio tra desideri e scopi.
Venezia79, nella sua proiezione notturna, si è tinta dei toni rossi di “Pearl”, prequel della pellicola “X – A Sexy Horror Story” di Ti West, con Mia Goth come interprete principale. La sala Grande del Lido si è incendiata e connotata dei toni dell’horror mostrando una psiche distrutta dal dolore e dalla machiavellica voglia di rivincita.
Approdando nel 1918, la storia di Pearl diviene quasi una “storia d’origine”, vengono difatti poste le basi per la caratterizzazione del personaggio e per gli eventi che la coinvolgeranno direttamente nel futuro. La ragazza vive ancora sotto il tetto genitoriale, il giovane marito è partito al fronte e lei è dunque costretta a svolgere le mansioni domestiche nella fattoria. La ragazza sogna di diventare una ballerina famosa, di stare sui palchi più prestigiosi d’America, ma la madre stronca ogni sua voglia di rivalsa sul nascere.
Il suo speciale talento, per tanto, resta relegato alla sola visione da parte degli animali della fattoria di cui Pearl è tanto amica. Tutto nella fattoria fa pensare un po’ al magico mondo di Oz: i colori e i costumi riportano in scena quelle atmosfere che vengono, ancor di più, ribadite dal canto e dal ballo della giovane ragazza. Ben presto, però, lo stato d’animo del pubblico viene fagocitato da un leggero e costante senso di irrequietezza: qualcosa non va, non vi sono dubbi.
Senza scendere troppo nei particolari, perché vi consigliamo di recuperare questo film davanti a una buona confezione di pop corn, ci addentriamo in quella che è la bellezza cinematografica di questa pellicola. Ti West fa proprio bene a scommettere sull’interpretazione di Mia Goth, tanto che è stata già annunciata la realizzazione di un’altra pellicola a suggellare questa trilogia. La standing ovation che è stata fatta a Mia, al termine della proiezione, ha dichiarato l’amore per la sua suggestiva interpretazione. Nessuno in quella sala potrà effettivamente scordarsi il sorriso inquietante con il quale il film si chiude.
La vita di Pearl è l’esempio di come spesso i traumi creati dalle violenze e dagli abusi familiari facciano nascere i mostri da prima pagina. Non vi è alcun tipo di controllo nell’agire della ragazza, se non un voler cercare di stringere tra le proprie dita il proprio futuro. Tentativo abbastanza vano, visto che comunque a farle compagnia per tutta la vita restano le sue disillusioni. Esplorando il personaggio, infatti, ci è possibile apprezzarne la psicologia e la foga violenta entrando in empatia col suo vissuto. Lei è poco più che una ragazzina e davanti non le sono stati posti altro che obblighi. Questa furia, però, dapprima riversata sugli abitanti della fattoria, ha un climax via via sempre più cieco. Chiunque sembri minimante ostacolarla per il raggiungimento del suo sogno, incontrerà il suo istinto omicida.
La Goth compie un ottimo lavoro attoriale nel dare vita, con la sola fisicità, a tutti i dissidi interiori che Pearl custodisce dentro di sé. Gli sguardi, i sorrisi, l’ostentazione della mimica facciale hanno la potenzialità di farla sembrare inquietante e immobile tanto quanto una bambola di porcellana. È bellissima, perfetta, delicata e quasi innocente. Un’innocenza macchiata di sangue che divampa nel momento in cui i suoi occhi si sgranano e regalano alla camera un sorriso che lascia ben poco all’immaginazione.
Quello che resta in mente di questo film sono sicuramente i colori in grado di diventare quasi ipnotici. Dall’aria a magico mondo, infatti, si passa alle tinte più violente di rosso, tanto quanto la saturazione dell’ambiente intorno alla protagonista. Le mura delle pareti domestiche sono cupe tanto da far sentire quasi palpabile l’aria intorno agli attori. La casa è ancora una volta archetipo narrativo attraverso il quale si mostra la corruzione dell’animo umano. Le pareti e il loro “scuro” diventano segno indelebile di quegli abusi che la giovane sa solo sfogare con la violenza.
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