Questa notte una nenia mi riempie i pensieri. Frasi e immagini che si susseguono in un passato mai avvenuto e in ciò che sarebbe potuto essere. Ogni senso è così acuto e presente che persino ciò che penso diviene attuale.
Le scene raccapriccianti di quel genere di film che ancora mi ostino a guardare, il vento della notte che fuori imperversa e quell'estate che non è mai arrivata.
D'improvviso, ecco il respiro affannato di un essere umano che si sveglia e scopre di essere morto.
"Si diramano filamenti d'esistenza nera
in veglie di sonni distrubati nella riviera
e si sciologono lenti come triste cera
nelle notti insonni della scorsa era".
(Gianluca Boncaldo, Incubo nella veglia)
Quell'umano sono io, e questo cuscino oggi è troppo scomodo. I sensi sono troppo presenti, così tanto da amplificare ogni fastidio esistente e inesistente.
Squilibrio naturale tra opposti e invasione insostenibile di realtà inconciliabili. L'eterno dissapore tra il girono e la notte nella confusione di un sole che non sceglie di perire e di una luna che viene e va senza rispettare i cicli della volta celeste.
Questa luce è troppo buia, quest'oscurità è troppo accecante. Quel rumore lontano di un tentativo fallito mi è restato incastrato nell'udito, tra le tristi note di un pianoforte a coda e le percussioni scoordinate di un musicista poco sobrio.
Molto lontano si sta dissolvendo la luna, una caduta di stile a cui non volevo presenziare in una giornata che è durata pure troppo e che non vedo l'ora finisca. Tutto quello che non ho fatto oggi mi perseguita in un'emicrania punitiva.
Trafugo nelle scartoffie cognitive disseminate negli angoli più bui della mente. Ecco allora una reliquia d'origine ctonia, un pensiero sepolto letteralmente e figurativamente. Il mal di testa finisce e l'orrore perde il suo alone macabro: l'orrore è la nuova meta da raggiungere. Ora ho finalmente la forza di dormire, ora è il momento di consacrare la notte, la dolce morte del giorno.
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