Questo è da definirsi un mini racconto thriller, i riferimenti a fatti e/o persone sono puramente casuali e non hanno a che vedere con la realtà.
Ovviamente prendiamo le distanze dalle azioni violente compiute dalla protagonista. Vogliamo ricordarvi che se avete qualsiasi problema, cercate di avere il coraggio di parlarne con qualcuno, anche al Telefono Amico. Nessuno vi giudicherà.
Dicono che se ripeti una frase cento, mille volte, allora per la tua mente diventa una verità, un dato di fatto che non riesci a contestare, così saldo che non traballa tra dubbi e incertezze.
Ho cominciato a ripetere la mia bugia quando a dodici anni osservavo i capelli della mia compagna di banco e invece che apprezzarli per com’erano, mi immaginavo a odorarli, assaporarli, ma nulla di più: lo stomaco mi si contorceva e tutto diventava grigio, come se il mio cervello si stesse adoperando a cancellare un disegno orrido, sporcato da mani immeritevoli di creare qualcosa di bello.
“Mi piacciono i maschi.” Ripetevo chiudendo gli occhi la sera, stringendo forte il cuscino, ma chissà perché, quando poi li riaprivo, mi accorgevo che al muro erano attaccati poster dei miei beniamini, gli stessi che qualche anno dopo avrebbero fatto il loro coming out.
“Mi piacciono i maschi” in soli tre anni è diventato: “Mi piacciono i ragazzi”, non più quando sognavo di toccare i capelli delle mie amiche, ma quando mi ritrovavo a osservare il loro petto, e ad alta voce andava la bugia che le invidiavo, perché io sembravo rimanere piatta come ero sempre stata.
Forse è per questo che non ho mai avuto una vera e propria migliore amica, o amica in generale. Nessuna è mai venuta a casa mia, non sono mai andata io da lei, avevo troppa paura si scoprisse qualcosa che avrebbe incasinato tutta la mia vita.
Le scuole sono finite, e la bugia è diventata la realtà dei fatti fino alla mia prima laurea, quando poi è arrivata Dafne.
Ci siamo conosciute per puro caso, alla fermata dell’autobus. In soli cinque minuti abbiamo capito che avevamo molti interessi in comune, così, quando all’orizzonte si era materializzato il suo autobus, ci siamo scambiate gli account Instagram. Un modo non invasivo per continuare a parlare, insomma. In serata, comunque, ho poi ascoltato il suo audio da dodici minuti su un suo ex pervertito e che ha mollato giusto in tempo.
Ha conosciuto Renato in un locale, è stato un colpo di fulmine. “Proprio come lo è stato per noi”, avrei voluto dirle, ma ho taciuto, cacciando quel pensiero perché di colpo di fulmine proprio non devo parlare. Hanno così tanto in comune che in sei mesi sono andati a convivere e le nostre uscite si sono ridotte notevolmente.
Mi manca. Mi manca ma non posso dirlo. Non posso esprimerlo, vorrei farglielo capire, ci provo quando non rispondo alle sue chiamate, ai suoi messaggi, quando rimango per la notte a casa di sconosciuti. Spero in una sua sgridata, eppure trovo sempre supporto.
Non le manco, non le importa nulla di me, è felice con Renato. Renato le accarezza le gambe, la bacia, la abbraccia la notte. Basta. “Mi piacciono gli uomini”.
Riprende a baciarmi e vedo Renato e Dafne che guardano una serie Netflix, ma quando Nonsocomesichiama infila due dita dentro di me, io divento Renato. Ho Dafne sul mio petto, le bacio i capelli che sanno di agrumi e anche se abbiamo litigato da poco per quale serie vedere, decido di optare per la sua, accontentandola come vorrei fare sempre. Nella mia mente ci stringiamo l’una all’altra, addormentandoci alla terza o quarta puntata, non per disinteresse, ma perché siamo stanche dopo una giornata di lavoro.
“Mmmh, quanto sei calda.” Mi sussurra Nonsocomesichiama all’orecchio, gli sfilo i pantaloni, sperando di sentire sotto di me la pelle morbida della coscia di Dafne, ma al solito è solo quella dura e pelosa dell’ennesimo uomo.
Ci stacchiamo il tempo di fargli indossare un preservativo, poi entra in me e in poche spinte scendo dal piedistallo dell’umiliazione; ci ringraziamo per chissà cosa e viene inghiottito dal rumore sordo della musica dalla sala accanto. Non lo rivedrò più, ed è meglio così.
Mi fisso allo specchio, le guance rosse, le labbra secche, mi lavo le mani, poi do una passata anche tra le gambe. “Che schifo”. Mi viene da piangere, ma non posso darmi la soddisfazione di soffrire.
Sono un rifiuto umano, sono totalmente sbagliata, la felicità non mi merita, e non ho più voglia di rimanere in questo locale di merda.
Prendo la mia borsa dal pavimento, dal quale ha preso l’appiccicoso di nonvogliosaperecosa.
Chiudo gli occhi, buttando la testa all’indietro, lasciandomi coccolare dal getto. I capelli si diradano, li sento più leggeri, anche se rimangono appiccicati alla mia pelle. Sorrido, immaginandomi uno scenario dove Renato non c’è più. Io che asciugo le lacrime di Dafne, che la consolo, che sparlo di lui senza pietà, facendole vedere quanto non sia mai stato giusto per lei.
Vorrei dire che la doccia mi abbia calmata, riscaldata, la verità è che sono seduta sul letto di Dafne nel silenzio disarmate dopo le sue urla che hanno squarciato la notte e il sogno dei vicini. È inutile scappare, arriveranno a me, sento già le sirene in lontananza.
Di Renato non mi interessa nulla, le lacrime che stanno scendendo sul mio volto sono solo per lei. Mi dispiace di non poterla più vedere, non ci sarò io a consolarla, né lei potrà più farlo con me. Le do un bacio sulle labbra tiepide, mischiando il suo sangue al mio.
Chiudo gli occhi sentendo la polizia sfondare la porta. Alla fine ho deluso comunque i miei genitori: sono un’assassina.
Storia molto interessante e ben scritta!
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