Nel 2015 uscì “Lui è tornato”, che vedeva Hitler tornare nella Germania dello stesso anno, su questa scia, nel 2017 Giorgio Amato scrive e dirige “Oh mio Dio!”, a raccontare proprio della seconda venuta di Gesù sul nostro pianeta, scegliendo questa volta la città santa di Roma.
L’ho visto incuriosita perché disponibile su Prime Video.
L’ho visto incuriosita perché disponibile su Prime Video.
La trama è semplice: Gesù (Carlo Caprioli) torna sulla Terra perché l’umanità sta perdendo sempre di più il contatto con la sua Parola. Se la prima volta non fu creduto, ora viene deriso, almeno finché i miracoli non vengono trasmessi nei telegiornali.
Ritroviamo tra i suoi discepoli gli stessi nomi, con le storie molto simili e con lo stesso scetticismo che infatti li porta, nuovamente, ad abbandonarlo nel momento del bisogno.
Se la commedia risulta divertente all’inizio, non senza qualche “mah”, è proprio negli ultimi minuti che tira fuori tutta la sua potenza, supportata anche dalla meravigliosa fotografia naturale che è Roma.
Se si mettono insieme Roma e santità la questione è seria anche agli occhi di un ateo, che avverte comunque lo spessore del tutto. Il film viene mostrato come se fosse un documentario, non sappiamo chi ci sia dietro la telecamera sempre puntata su Gesù e il suo lavoro, sappiamo solo che è il Maestro stesso a volerlo sempre accanto. Questo stile fa sicuramente rimanere molto concentrati su quanto stiamo vedendo, portandoci a chiedere cosa faremmo se tutto questo dovesse accadere sul serio.
La scelta, però, di replicare i vari Vangeli per filo e per segno, almeno più o meno, però, è quello che almeno personalmente è piaciuto molto meno. Se da una parte capisco l’esigenza, così da non far storcere il naso a nessuno, dall’altra mi metto nei panni di un qualsiasi credente: il Gesù dei Vangeli è un uomo che andava contro le più rigide regole dei tempi, che parlava agli uomini semplici, umili e andava dritto al punto. Parlava bene, tanto che da lui rimanevano affascinati anche gli scribi e i sacerdoti, perché, quindi, renderlo con lo stesso linguaggio di duemila anni fa?
Certo, anche ai tempi non tutti gli credevano, ma non si può dire che non ne rimanessero affascinati. Perché mostrarlo come un hippie in cerca di visualizzazioni, è un mistero che ci verrà svelato negli ultimi minuti.
Visto che nessuno sa quando o come avverrà la parusia, io meno che mai, ho proseguito con la visione del film cercando di mettermi da ogni punto di vista: dei medici increduli dopo i miracoli, con pazienti tornati persino dalla morte, degli uomini e delle donne che decidono di seguirlo dopo aver parlato con lui, degli scettici, dei criminali che continuano con la loro strada, della madre… insomma, di ogni personaggio incontrato chiedendomi: “Cosa fa scattare nella mente degli umani il conoscere effettivamente?”.
Questa è una domanda che mi pongo fin da bambina, alla quale non ho mai una vera e propria risposta. Forse è istintivo, forse lo si sente in pancia, forse non è neanche così importante rimanere fedeli e leali verso una persona, tant’è che Gesù del film ammonisce chi vuole offendere Giuda e il suo tradimento, ricordando che alla fine anche lui, con il suo atto meschino, ha supportato il Volere del Padre.
Forse non è importante il come o il perché si fa qualcosa, ma il farla.
E sono stati proprio gli ultimi dieci minuti finali a sciogliermi questo nodo: Gesù muore, di nuovo, ma non sulla croce o per un atto di violenza egualitaria, bensì per l’indifferenza delle persone. È morto di fame, sete, stenti, freddo, in strada, sul Ponte degli Angeli, con San Pietro alle spalle, l’Arcangelo Michele al fianco e milioni di turisti che quotidianamente calpestano quella strada, perché ignorato.
Ritroviamo tra i suoi discepoli gli stessi nomi, con le storie molto simili e con lo stesso scetticismo che infatti li porta, nuovamente, ad abbandonarlo nel momento del bisogno.
Se la commedia risulta divertente all’inizio, non senza qualche “mah”, è proprio negli ultimi minuti che tira fuori tutta la sua potenza, supportata anche dalla meravigliosa fotografia naturale che è Roma.
Se si mettono insieme Roma e santità la questione è seria anche agli occhi di un ateo, che avverte comunque lo spessore del tutto. Il film viene mostrato come se fosse un documentario, non sappiamo chi ci sia dietro la telecamera sempre puntata su Gesù e il suo lavoro, sappiamo solo che è il Maestro stesso a volerlo sempre accanto. Questo stile fa sicuramente rimanere molto concentrati su quanto stiamo vedendo, portandoci a chiedere cosa faremmo se tutto questo dovesse accadere sul serio.
La scelta, però, di replicare i vari Vangeli per filo e per segno, almeno più o meno, però, è quello che almeno personalmente è piaciuto molto meno. Se da una parte capisco l’esigenza, così da non far storcere il naso a nessuno, dall’altra mi metto nei panni di un qualsiasi credente: il Gesù dei Vangeli è un uomo che andava contro le più rigide regole dei tempi, che parlava agli uomini semplici, umili e andava dritto al punto. Parlava bene, tanto che da lui rimanevano affascinati anche gli scribi e i sacerdoti, perché, quindi, renderlo con lo stesso linguaggio di duemila anni fa?
Certo, anche ai tempi non tutti gli credevano, ma non si può dire che non ne rimanessero affascinati. Perché mostrarlo come un hippie in cerca di visualizzazioni, è un mistero che ci verrà svelato negli ultimi minuti.
Visto che nessuno sa quando o come avverrà la parusia, io meno che mai, ho proseguito con la visione del film cercando di mettermi da ogni punto di vista: dei medici increduli dopo i miracoli, con pazienti tornati persino dalla morte, degli uomini e delle donne che decidono di seguirlo dopo aver parlato con lui, degli scettici, dei criminali che continuano con la loro strada, della madre… insomma, di ogni personaggio incontrato chiedendomi: “Cosa fa scattare nella mente degli umani il conoscere effettivamente?”.
Questa è una domanda che mi pongo fin da bambina, alla quale non ho mai una vera e propria risposta. Forse è istintivo, forse lo si sente in pancia, forse non è neanche così importante rimanere fedeli e leali verso una persona, tant’è che Gesù del film ammonisce chi vuole offendere Giuda e il suo tradimento, ricordando che alla fine anche lui, con il suo atto meschino, ha supportato il Volere del Padre.
Forse non è importante il come o il perché si fa qualcosa, ma il farla.
E sono stati proprio gli ultimi dieci minuti finali a sciogliermi questo nodo: Gesù muore, di nuovo, ma non sulla croce o per un atto di violenza egualitaria, bensì per l’indifferenza delle persone. È morto di fame, sete, stenti, freddo, in strada, sul Ponte degli Angeli, con San Pietro alle spalle, l’Arcangelo Michele al fianco e milioni di turisti che quotidianamente calpestano quella strada, perché ignorato.
Se Nietzsche sentenziò che “Dio è morto” come la perdita delle religioni e dei loro valori morali, “Oh mio Dio!” ci ricorda che stiamo nuovamente crocifiggendo il Cristo ogni volta che, per orgoglio, rancori, egoismo o paura non tendiamo la mano verso chi ne ha più bisogno. E allora ecco che la scelta di rendere il film tale e quale ai Vangeli ascoltati un’infinità di volta acquisisce un significato tremendamente importante: a che serve professarsi credenti, santi uomini sulla via della giustizia, quando il vicino viene ignorato?
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