martedì 30 luglio 2024

#Documentari: American's Sweeethearts - Le cheerleader dei Dallas Cowboys

In Italia non abbiamo la cultura delle cheerleader, tutto quello che sappiamo su di loro proviene dalle serie tv, dai film o da alcuni libri e a essere onesti non sono sempre descrizioni positive.


Associamo l’essere cheerleader a ragazze sempre perfette, all’apparenza dolci e gentili ma che risultano altezzose e snob nei confronti dei comuni mortali. Le più fighe della scuola, sempre in compagnia dei giocatori di football… allora perché oltreoceano vi è così tanta attrazione verso le cheerleader dei Dallas Cowboys? È con questa domanda che su Netflix ho visto “American’s Sweethearts”, il documentario che le ha seguite per tutta la stagione 2023-2024.

Ogni anno si aprono le selezioni per diventare cheerleader dei Dallas Cowboys e in tutta America sono migliaia le ragazze che si presentano, ben consapevoli che sono solo trentasei posti disponibili tra veterane ed esordienti.
Dall’esterno fare parte delle DCC è un mondo magico: si ha fama, successo, bellezza, talento, si è viste in mondovisione, i tifosi le sostengono quanto un giocatore di football, eppure non è tutto oro quello che luccica.

I pochi posti a disposizione creano un ambiente dove la competizione è al massimo, in quanto i livelli delle ragazze sono tutti altissimi.

Si presentano in migliaia, come abbiamo già detto, quasi tutte atlete professioniste che hanno iniziato con la carriera della danza appena hanno imparato a camminare. Il professionismo, quindi, è alle stelle. Da una base di partenza come questa, ogni ragazza deve convincere i giudici con il proprio aspetto fisico sempre curato e impeccabile, una presenza scenica che catturi l’attenzione tra tutte, una propria identità, grazia, eleganza, lealtà e disponibilità verso gli altri.


Se a questo aggiungiamo che una cheerleader guadagna una miseria pur lavorando a tempo pieno durante la stagione di football, la domanda: “Ma perché cavolo una vorrebbe diventare una DCC?” sorge spontanea.

Così ho provato a immedesimarmi in una di loro, diciamo che sono americana, mi chiamo Fran e sono cresciuta con il mito delle DCC. Prendo lezioni di danza da quando ho due, tre anni, curo alla perfezione il mio aspetto esteriore e interiore, e dopo le prime selezioni e le settimane a convincere i giudici, mi prendono nel team.

Solo questo lavoro non mi permetterebbe di gestirmi, così sono costretta a svegliarmi alle sei, iniziare a lavorare alle sette, finire alle sedici per iniziare gli allenamenti dalle diciannove e tornare a casa poco prima di mezzanotte. Questo tutti i giorni, se poi sommiamo le dodici ore passate sul campo quando ci sono le partite… ci si chiede, perché?

La risposta può sembrare banale: si chiama passione.

Se so che mi porta gioia, l’opinione degli altri non conta

Forse noi non capiremo mai cosa le spinga davvero, proprio perché non siamo cresciuti con il mito delle cheerleader, eppure a nessuna di loro pesano davvero i continui allenamenti, le poche ore di sonno, l’essere giudicate costantemente… ogni anno, che siano state scartate quello precedente o no – perché anche le veterane devono rifare le audizioni – fino a un massimo di cinque anni, quando poi avviene il ritiro, tutte tentano e ritentano, potenziandosi sempre di più.


Le trentasei sviluppano una sorta di sorellanza, anche grazie alle riunioni dove parlano di sé e di quello che accade nella loro vita. Si sostengono, si uniscono in un mantra che potrebbe essere: “Quello che accade a una, accade a tutte”. Sono un unico corpo e un’unica mente, supportate anche con tutte le cheerleader del passato che da fine anni Sessanta a oggi formano la grande famiglia delle DCC.

Nessun aiuto, nessun favoritismo: puoi essere sorella o figlia di ma sarai sempre trattata come l’esordiente più sconosciuta e avrai sempre da dimostrare quanto vali. Non vengono ammessi errori, mancanze, o cali di prestazione. È una vita che per almeno un anno ti sacrifica di tutto il resto ma per chi la vive ne vale sempre la pena.

Guardare ogni puntata senza cadere nel giudizio di un ambiente tossico è stato per me difficile, ma è anche vero che essere cheerleader è un punto in comune tra la vita da atlete, modelle e royal dove quello che conta è solo quello che appare e il resto va nascosto.

Lutti, separazioni, problemi fisici o mentali, persino abusi… tutto va messo a tacere dal momento in cui si entra in palestra per l’allenamento, allo stadio per la partita o in una qualsiasi attività benefica a quello in cui si esce. Solo con la propria famiglia si può essere se stesse, con i lamenti classici di chi ha bisogno solo di sfogarsi.

Sono tutte donne forti, indipendenti, che sanno benissimo quello che vogliono e lavorano sodo per ottenerlo con l’unico scopo di far stare bene gli altri e nulla più. Probabilmente continuerò a non capire appieno questo mondo, ma sicuramente lo vedrò con un maggiore rispetto.

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