venerdì 19 luglio 2024

#Libri: Il villaggio perduto

Per la collana Darkside di Fazi Editore in data 2 luglio 2024 è stato pubblicato il romanzo da adulti, dopo alcuni libri per ragazzi, di Camila Sten, figlia d’arte – la madre è una scrittrice di gialli – e destinata al successo: pare che per le circa 400 pagine de Il villaggio perduto Netflix stia già pensando alla produzione di una serie tv. 


Alice, la voce narrante del romanzo, è la nipote di una donna proveniente da un villaggio diventato famoso perché da un giorno all’altro, senza alcun segnale, tutti i suoi abitanti sono spariti nel nulla. Le eccezioni sono il cadavere di una donna, legata a un palo nella piazza principale, e una neonata viva nell’infermeria della scuola locale. L’idea di creare un documentario su ciò che è accaduto nel villaggio, di ricostruire parte della storia della propria famiglia, porterà Alice e il suo team a passare cinque giorni nel villaggio abbandonato – almeno in apparenza. 

Le premesse, per me, erano cariche di aspettative: da amante di gialli/thriller con un tocco di soprannaturale non potevo esimermi dalla lettura di questo esordio.
Purtroppo, sin dalle prime pagine ho avuto il sentore che le idee formatesi nella mia mente riguardo questo romanzo non si sarebbero affatto realizzate, anzi, sarebbero state disattese. Non ho avuto torto, con mio dispiacere.
La penna di Sten è gradevole ed è questo ciò che ha favorito la lettura rendendola scorrevole, ma lo stile fluido non è ahimè stato sufficiente per catturare il mio interesse e, come si dice in gergo, “tenermi incollata” alle pagine.
Anche la trama è intrigante, il primo dettaglio che mi ha davvero incuriosita e spinta a scegliere di leggere questo volume: un villaggio minerario di nemmeno mille abitanti che d’un tratto scompaiono nel nulla, senza lasciare tracce alcune dietro di loro, e una ragazza che scava nel passato proprio per cercare di scoprire cosa sia accaduto agli abitanti di Silvertjärn, “lago d’argento”. 

Ecco, tutti questi ingredienti hanno il potenziale, se sommati, per creare una lettura davvero da brivido, in grado di essere incalzante, di tenere sulle spine il lettore e con un ottimo ritmo.
Non ho purtroppo avuto la fortuna di ritrovare nel romanzo quanto le premesse lasciavano intendere.

Le risorse per far sì che fosse una lettura indimenticabile c’erano, ma per tutta la durata del romanzo ho avuto l’impressione che l’autrice non riuscisse mai ad arrivare al nocciolo della questione. Per dare un’idea, lo paragonerei a un’auto che, per quanto si prema sull’acceleratore, non riesce mai a raggiungere la marcia più alta, quasi manchi la spinta necessaria oltre la pressione del piede sul pedale.
L’intento quasi cinematografico purtroppo non è riuscito appieno, lasciando appunto la sensazione che ci fosse qualcosa in sospeso, di non detto.
Anche le tematiche trattate – la depressione in primis, psicosi, fragilità mentali, fanatismo religioso – sono quasi soltanto accennate, senza che venga dato loro il giusto spazio, che vengano affrontate con lo spessore che si dovrebbe dedicare a determinati argomenti.

Il finale ha risollevato di poco le sorti del libro, pur essendo tutto sommato piuttosto prevedibile, frettoloso e, ancora una volta, un po’ superficiale. Ogni “mistero” è infatti rivelato nell’ultimo 20% del libro, rendendo la prima parte piuttosto lunga e pesante. Pressoché ogni evento davvero importante a livello di trama è concentrato nell’ultima parte.
In tante occasioni ho sperato che prendesse finalmente la svolta che aspettavo, che ci fosse più movimento e meno intento cinematografico, ma ogni speranza è stata disattesa.

Non l’ho trovata una lettura terribile, ma in definitiva non credo mi concederei una seconda lettura pensando di dargli un’altra occasione. Per il mio personale gusto, troppo è stato lasciato “al caso”, troppo spiegato con superficialità.

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