Durante la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, abbiamo avuto modo di vedere in anteprima “Palazzina LAF”, il film diretto da Michele Riondino. La scrittura della sceneggiatura, eseguita insieme a Maurizio Braucci, ha impiegato un lavoro di ben sette anni; periodo in cui sono state raccolte le testimonianze di chi è stato direttamente coinvolto nelle vicende. Sì, perché questo film parla di una storia vera, tanto quanto dolorosa. La romanza, se ne appropria, ma mette in luce uno degli aspetti più assurdi della regione Puglia.
L’ILVA di Taranto rappresenta per i residenti uno dei pilastri dell’economia regionale, con un considerevole numero di operai e impiegati locali che vi lavorano. Tuttavia, nel 1997, emergono gravi problematiche legate a uno dei giganti industriali italiani. Caterino (interpretato da Michele Riondino), uomo dal carattere semplice e robusto, è uno degli operai impiegati in questo complesso industriale. Risiede in una masseria con la sua giovane fidanzata e sogna di trasferirsi in città.
Un giorno, Giancarlo Basile (Elio Germano), uno dei dirigenti, lo seleziona come la persona giusta per aiutarlo a individuare quei lavoratori di cui vorrebbe liberarsi. Attratto dalla promessa di un avanzamento professionale vantaggioso, Caterino accetta di agire come informatore per Basile. Viene inviato nella Palazzina LAF, una struttura dismessa del complesso, dove vengono confinati tutti i dipendenti scomodi: privati delle loro mansioni, vengono lentamente e cinicamente allontanati dall’azienda.
Con il passare del tempo, Caterino si rende conto che non c’è alcuna via di uscita da quell’inferno per lui e i suoi colleghi. La storia si dipana tra la promessa iniziale di vantaggi professionali e la dura realtà dell’isolamento e dello sfruttamento a cui vengono sottoposti i lavoratori nella Palazzina LAF.
Si impazzisce, dunque, quando si viene resi immobili e impotenti. Quando viene tolta la possibilità di lavorare, tanto quanto eccede all’altro lato dello stremo. Si viene umiliati, depotenziati e ridicolizzati. Additati come nullafacenti solo perché qualcun altro ha imposto un veto sulla libertà di qualcun altro. La Palazzina LAF, in questo modo, diviene un simbolo contro il quale doversi scagliare. Un luogo nel quale cercare la possibilità di reagire, perché come questo esempio ce ne sono stati altri nel corso del tempo.
Sono stati toccanti le parole che si sono susseguite durante la conferenza stampa e ci hanno aiutato davvero a capire quanto possa esser frustrante il “dolce far niente”. Perché, del resto, la vita è fatta di equilibri: non si può vivere solo per lavorare, allo stesso modo non si deve lavorare solo per vivere.
Michele Riondino racconta, quindi, una delle tante dure verità che riguardano il lavoro nel meridione. Tra favoritismi, magagne e così tanti lati oscuri da riuscire ad annichilire il singolo. Lui indossa i panni di questo “non del tutto” inconsapevole operaio che vorrebbe solo poter tirare un po’ d’acqua al proprio mulino. Perché lui ricerca la possibilità di andare all’interno della palazzina e, fino alla fine, non comprende perché gli altri vogliano lavorare mentre i suoi polmoni sono pieni di polvere e fuliggine. Uno scontro che fa riflettere anche sull’iniquità delle condizioni lavorative tra operai e classe dirigenziale.
Noi vi consigliamo di andare in sala a vedere questo film, sia per poter esser informati su una realtà che ancora esiste, sia per poter sostenere il buon cinema nostrano.
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