A due mesi dalla scomparsa del pittore e scultore Fernando Botero Angulo, noi di 4Muses vogliamo ripercorrere un po’ le tracce del suo stile artico per potervi parlare della sua opulenza e del suo simbolismo.
Nato a Medellín, un comune colombiano, il 19 maggio del 1932 e morto il 15 settembre del 2023 a Monaco, Botero si è contraddistinto per la forma morbida delle sue opere. Da bambino ha subito il fascino dell’architettura barocca e delle illustrazioni della Divina Commedia di Dante. Ha iniziato a disegnare professionalmente già a sedici anni, periodo in cui ha illustrato i supplementi di “El Colombiano” il giornale della sua città natale. E già nel 1948 ha esposto le sue opere per la prima volta.
Quando inizia a viaggiare il suo stile incontra quello di Francisco Goya e di Tiziano; a Parigi medita sull’arte d’avanguardia e decide di interessarsi agli antichi pittori. Rifiuta, in questo modo, lo stile che predomina nella sua terra natia avvicinandosi sempre di più al classicismo artistico. Una volta giunto in Italia, entra in contatto con le principali opere del Rinascimento avvicinandosi a Giotto e ad Andrea Mantegna che lo ispirano tanto da spingerlo a fare diverse copie dei loro lavori.
Nel 1955 ritorna in patria e sposa Gloria Zea, successivamente Ministro della Cultura della Colombia e inizia a esporre altre sue opere. In quel periodo, però, riceve numerose critiche cosa che lo spingono a spostarsi fino ad arrivare in Messico. In questa terra prende il via la sua sperimentazione con le forme corporee iniziando a espanderle tanto da dar loro un tocco del tutto personale.
I primi riconoscimenti non influenzano il pensiero dell’artista, egli infatti concepisce la pittura e il disegno come l’esigenza di esprimere ciò che si ha interiormente. Questo porta a un’esplorazione ininterrotta verso la propria psiche, ma soprattutto verso il quadro “ideale”. Tuttavia questa necessità rimane inappagata, tanto da spingersi sempre oltre per poter scavare più a fondo. Questo desiderio, in ogni caso, viene trasmesso dall’uniformità del suo colore: immense campiture senza ombreggiatura, piatte e senza bordi. L’artista procede con assoluto distacco nel rappresentare i suoi soggetti, ciò permette alle sue forme surreali di avere un carattere quasi psicologico. Gli sguardi vacui dei suoi disegni, uniti alle rotondità corporee, suggeriscono l’idea di individui che fissano senza mai perdere il focus sull’osservatore del quadro. Ciò fa sì che le sue opere si leghino a questa dimensione morale che si intreccia ulteriormente con la dimensione del tempo che l’artista è in grado di imprimere sulla sua tela.
Botero ha raffigurato diverse volte lo stesso soggetto a distanza di diversi momenti proprio per poter far loro assolvere il compito di orologi: delle lancette che segnano il passaggio del tempo.
L’opulenza dei corpo impressi sulla sua tela, però, ha anche il compito di rappresentare l’esaltazione della vita. Le linee morbide, le donne tonde, sono intrinsecamente legati al concetto di sensualità. È paradossale come questo artista sia stato uno dei primi a esprimere, attraverso la sua arte, l’accettazione dei corpi non standardizzati riuscendo a donare loro una grazia mai vista prima. L’abbondanza e la tracotanza della vita, in questo modo, vengono espresse attraverso quella che possiamo definire come una ricchezza di dimensioni. Ma quello che noi vediamo non può essere etichettato come una patologia o un disturbo del peso, perché il tutto è legato alla sola dimensione dei volumi e delle pennellate. Ha chiaramente specificato anche in una recente intervista all’agenzia France-Presse che: “Non dipingo donne grasse. Nessuno ci crederà, ma è vero. Ciò che io dipingo sono volumi. Quando dipingo una natura morta dipingo sempre un volume, se dipingo un animale lo faccio in modo volumetrico, e lo stesso vale per un paesaggio. Sono interessato al volume, alla sensualità della forma. Se io dipingo una donna, un uomo, un cane o un cavallo, ho sempre quest’idea del volume, e non ho affatto un’ossessione per le donne grasse”.
Nonostante, quindi, le sue figure siano legate alla realtà, esse non la rappresentano. Vi è un’esagerazione della stessa e tutto diventa “tanto” proprio come suo marchio stilistico. Con buona probabilità ciò lo si deve all’influenza e alla fascinazione che lo stile barocco ha richiamato in lui fin dalla più tenera età. Del resto, l’oro e l’opulenza erano caratteristiche di quello sfarzo appartenuto alle principali corti europee in cui, attraverso l’arte, si comunicava il benessere e la ricchezza. La bramosia e il desiderio psicologico espressi dalle sue opere, quindi, necessitano di riempire lo spazio sulla tela. Non semplicemente soggetti grassi, quanto più grandi e grossi in una spasmodica ricerca di un climax ascensivo. Ne consegue un piacere per la vista e una concezione ancestrale che si lega quasi alla primitiva concettuale forma artistica della vita. Basti pensare alla Venere o alla Dea Madre preistorica in cui, attraverso la forma larga dei suoi fianchi o l’abbondante seno, venivano trasmessi tutti i simboli di maternità e di accoglienza. Bellezza e abbondanza, di conseguenza, restano intrinsecamente legati.
In alcuni casi, le sue opere sono state lette come anche una feroce critica nei riguardi della nostra società consumistica. Se, infatti, da una parte il fascino per il volume resta indiscusso, dall’altra parte è innegabile che la vacuità che le sue opere sono in grado di trasmettere riesce a muovere una stretta proprio all’altezza della bocca dello stomaco. Siamo, del resto, in un’epoca in cui l’apparire è divenuto più importante della sostanza e quindi queste forme armoniosamente tonde riescono a intersecare una contraddizione tra la spasmodica ricerca dell’apparenza e quella del possesso.
Qualsiasi sia il significato che ognuno di noi riesce a leggere all’interno delle opere di questo artista, resta comunque indubbio l’interesse che nel corso del tempo sono state in grado di suscitare. Tra grasso e volume, quindi, non possiamo fare a meno di celebrare la vita di questo artista ricordandone l’arte successivamente alla sua dipartita.
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