martedì 21 novembre 2023

#Racconti: 1886

Tornano le avventure dei tre amici bontemponi che dopo aver bevuto il loro caffè si catapultano in un’altra realtà.


Roma, 2023

Frè: «Quando hai detto che torni a Roma?»
Gianluca: «A metà novembre.»
Frè: «Ottimo, così andiamo al cimitero insieme.»
Gianluca: «Prima devo trovare casa, però.»
Aida: «Vabbè, dai, beviamoci un caffè.»  
 
Nuova Roma, 1886

Quello che si palesa davanti agli occhi di Erf e Idaa è uno spettacolo che nessun abitante della neo capitale d’Italia ha mai visto in tutta la sua vita: la nebbia pomeridiana. Certamente alcuni fortunati hanno visto la coltre invadere la campagna poco fuori la cittadina durante la notte, ma poco dopo il sorgere del sole, il nebuloso velo si è sempre diramato sfavorendo le tenebre.
Sono quasi le quattro del pomeriggio e tutto attorno alle due dame è avvolto nel grigio. Il cielo, l’asfalto ai loro piedi, e le centinaia lapidi che sorgono imperiose dalla collina una stagione fa verde del Verano.
«Ci pensate mai?» fa Erf sporgendosi dal muretto, dove la Roma dei vivi sembra continuare la propria giornata come se ci fosse un bellissimo sole. «Un giorno anche questo cimitero smetterà di ospitare i corpi freddi. Un giorno queste anime saranno dimenticate, chi andrà ancora qui su, a visitare tutti loro, tra centotrentasette anni?»
«Perché proprio centotrentasette anni?» chiede ironica Idaa.
«Non lo so, è un numero come un altro.»
Erf si tira su lo scialle blu notte che le cade lungo il vestito blu pavone. Sente improvvisamente freddo.

La prima parte dell’autunno è stata insolitamente calda, alcuni intellettuali hanno dato la colpa ai vapori provenienti dalle industrie del nord, altri all’Apocalisse che si sta avvicinando. Erf non si è posta nessun pensiero a riguardo, ha solo ringraziato Dio ogni mattina per il fatto che non ha dovuto chiedere alle cameriere di accendere il fuoco in nessuna delle sue stanze. Ora, però, stanno aumentando dentro di lei i brividi di freddo, forse causati più dalla visione dell’umida nebbia che avvolge le tombe come una coperta a rinfrancare tutti i presenti. Eppure lei non si sente incoraggiata.
Le dame procedono con il loro lento passo. Idaa si chiede perché mai ha accettato l’invito di Erf a passeggiare proprio lì di tanti luoghi. È vero, ora i cimiteri e la morte vanno di moda, ma avrebbe preferito di gran lunga una sala da tè o un giro in carrozza, visto il tempo.

Improvvisamente davanti a loro compare un’ombra nera che passo dopo passo si fa più nitida. È un signore, con il cappello a cilindro, un lungo mantello, e un bastone da passeggio.

«Signore.» fa in tono gentile, togliendosi il cappello a mo’ di saluto. «Non dovreste camminare tutte sole, c’è la nebbia.»
«Grazie, lo vediamo.» Idaa si mette a ridere da sola, in realtà seccata del ritorno in città di LucaGian.
«LucaGian!» urla Erf con un tono che avrebbe spazientito qualsiasi signora altolocata. «Il tuo ritorno mi reca un piacere non indifferente.»
«Sapevo vi avrei trovata qui, Erf. Non osavo sperare, però, della presenza di Idaa.»
«È il destino che ha voluto questo riavvicinamento.»
«Minchia.» commenta Idaa, questa volta facendo spazientire Erf che proprio non sopporta la volgarità gratuita.
«Avete trovato un allogio che vi si confà, LucaGian?»
Il ragazzo si aggrega alle due, ben attento a rimanere un passo avanti, così da illuminare meglio la strada con la sua torcia che appare misteriosamente.
«Non ancora, immagino ci sia molto da cercare se si vuole la perfezione. A dirvi la verità mi accontenterei anche di un bugigattolo di qualche locanda dall’altra parte del Tevere.»
«Non siate ridicolo, LucaGian.»
«Perché non ti sistemi qui al cimitero? Tiè, quella cripta è aperta, infilatici, così posso chiuderti dentro da vivo.»
«Noto con affetto che non avete perso la vostra tempra, Idaa.»
«Ditemi LucaGian, voi ci pensate mai che un giorno anche questo cimitero sarà pieno e non potrà più accogliere nessuno?» Erf vuole cambiare discorso, stufa di questa mancanza di rispetto tra i due.
«Certamente. Ma non angustiatevi, ne verranno fatti di nuovi. Vi piacerebbe essere sepolta qui o da qualche altra parte?»

Erf rimane in silenzio, con la scusa di scendere le scale. Si alza leggermente il vestito, la mano destra, avvolta nel guanto di velluto blu di Prussia, si sostiene lungo il corrimano in pietra.
«Non so dirvi, in verità. Penso non mi importi più di tanto. Ovunque io sia sepolta, spero solo che ci sia il mio dipinto. Le future generazioni dovranno vedere questo bel visino. Mi piacerebbe avervi tutti al mio fianco, perché non ci compriamo una cripta, o un pezzo di terreno già da adesso?»
Idaa fa finta di non aver sentito, mentre LucaGian si tocca i baffi a manubrio arricciando le punte.
«Gran bella idea, Erf. Aspettate, come mai state ridendo ora?»
«Ridendo? Io non sto ridendo.»
«Vi ho sentita ridere, con la vostra tipica risata contagiosa…»

Altre tre ombre appaiono tra la nebbia di quella passeggiata. Sembrano tre uomini, in quanto indossano tutti e tre i pantaloni di uno strano tessuto blu. Eppure, due sembrano anche donne, con capelli lunghi e seno prosperoso. I tre del 1886 si portano una mano alla bocca, notando che chi hanno davanti sono identici, come se fossero loro specchi.

«Incredibile davvero.» fa LucaGian.

«E qui avremo i nostri posti quando saremo morti.» fa l’Erf specchio.
Tutti e sei si voltano, anche se i tre specchi sembrano non essersi accorti di loro. Lì, ai loro piedi sorgono tre tombe. In una realtà ancora senza nome, in un’altra con solo incisa una frase su ognuna di loro:

“L’eterno fiume scorre triste lungo il suo letto
sentendo la mancanza dei tre che coraggiosamente lo attraversarono.
Niente più risate contagiose, solo eterno silenzio
eco di un lucente e poi nebbioso ricordo.”

All’improvviso tutti hanno capito.
«Forse è meglio rimanere dalla parte giusta del Tevere.»
«Sì. Forse sì.»
LucaGian si arriccia i baffi. Sorridendo con fare intrigante.

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