Sofia Coppola non si è scelta un compito facile nel trasporre cinematograficamente l’autobiografia di Priscilla Presley. Tratto da “Elvis e Io”, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno, “Priscilla” si appresta ad arrivare nelle sale italiane il 3 novembre.
Dopo che lo scorso anno avevamo avuto modo di assistere al biopic di Elvis, adesso ci addentriamo sul punto di vista della compagna che ha accompagnato il Re nel corso della sua vita. È interessante come, in entrambe le opere, resti una sorta di filo roso in sospensione: entrambe raccontano la vita di questo personaggio, ma nessuna delle due lo fa dal suo diretto punto di vista. È pur vero che qui gli intenti sono stati dichiarati fin dal titolo: ciò che si vede è Priscilla.
Il tutto inizia quel fatidico giorno, l’attimo in cui una giovanissima ragazzina si è trovata davanti al mito che tanto ascoltava in vinile. Chi di noi avrebbe resistito anche solo un istante dal parlare con il proprio mito, specie a quattordici anni? Lui, lì, in carne e ossa che chiede di lei solo dopo le prime e semplici parole che hanno avuto modo di scambiarsi. Quindi il pubblico si trova a vivere a specchio l’emozione di essere in Germania, a Wiesbaden, dove il Re stava facendo il suo servizio militare per poter pagare le sue impudicizie pubbliche. E lei vive proprio in quella città, insieme a sua madre e al patrigno: un ufficiale della United States Air Force.
Accade l’impensabile, l’inverosimile: le conversazioni si trasformano in regali, in feste passate insieme e alla fine il sogno di vivere con lui proprio a Graceland. E se, in un primo momento, questo può sembrare un sogno a occhi aperti, lentamente si trasforma in una gabbia da cui lei non è in grado di fuggire.
Sofia Coppola, dunque, si concentra sul cercare di delineare proprio i confini di questa prigione dorata. Un amore che diviene oppressivo, coercitivo e che non è in grado di tener conto delle esigenze personali di Priscilla. Vi è solo una parte che conta: quella di Elvis. Il Re del Rock si è scelto appositamente una ragazza così giovane, viene più volte sottolineato questo aspetto, in modo che lei potesse essere plasmata secondo i suoi desideri. Le fa tingere i capelli, le dice come vestirsi, la tratta come una bambola non tenendo neanche conto dei suoi stessi desideri sessuali. Lei è designata solo a un compito: tenere accesa la fiamma del focolare.
Viene, in questo modo, designato il lato oscuro di questo personaggio dai tratti sempre più opacizzati. Lui che a sua volta è stato vittima della volontà del Colonnello, ripaga la donna che lo ama con la stessa moneta. Priscilla, in questo modo, diviene un mezzo per poter raccontare una vita di soprusi e di abusi che finiscono col spegnere sempre più la sua volontà.
La fotografia accompagna questo lento declino facendosi via via più smorta e cupa. I toni vibranti torneranno solo sul finale, quando lei troverà la forza necessaria per potersi sganciare da questo meccanismo relazionale tossico. Una donna che sulle note di una canzone su cui vi preghiamo di far attenzione per via della sua storia (che magari tratteremo in un altro articolo) che adesso è pronta a rivendicare il proprio posto nel mondo.
Cailen Spaeny e Jacob Elordi restano un po’ schiacciati all’interno dei loro personaggi. Sembra quasi che il tempo si sia cristallizzato su di loro, nonostante il passaggio degli anni. Cambiano i look e poco altro su di loro, lasciandoli spaventosamente immobili all’interno della loro performance. La loro grande differenza di altezza e di corporatura gioca un ruolo di grande impatto nella messa in scena dei due personaggi. Lei è poco meno di un metro e sessanta, mentre lui supera il metro e novantatré.
Questa storia, quindi, si incentra sulla presa di coscienza persona. In questo, pur affondando le radici nella realtà, il racconto diventa trasversale e in grado di rappresentare amori analoghi. Se l’essere presuntuoso e/o abusivo non è stato giusto per un dio del rock, che ha fatto i conti con il suo esserlo, di certo non può andare bene per noi comuni mortali. Riflettiamo, quindi, su quanto possiamo fare del male con le nostre azioni quotidiane.
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