Nella sezione del concorso di Orizzonti, a Venezia80, è stato presentato “En Attendant la Nuit”: un film vampiresco che ci trasporta all’interno dell’esistenza di Philemon tramite della vita della stessa regista. Céline Rouzet si insinua nel suo protagonista, sostenendo fin dal prologo quanto questa storia sia tratta da fatti realmente accaduti: “Questa storia trae ispirazione direttamente dalla mia famiglia e dalla mia adolescenza. Il film di genere era l’unico modo per raccontarlo. È un film cupo, drammatico, romantico ed esilarante su una persona che cerca disperatamente di integrarsi e di trovare risposte attraverso l’amore. Parla anche di marginalità e conformismo, di sacrifici familiari, di esplosioni di rabbia, di desideri selvaggi… e della ferocia che si cela sotto la superficie dell’ordinaria vita occidentale”. Non è difficile comprendere quanto queste parole siano vere, viste le tematiche che traspaiono nel corso della narrazione.
“Aspettando la notte”, traduzione letterale del titolo, si apre con la nascita di Philemon. In nascituro, fin dai primi istanti di vita, ha mostrato delle caratteristiche assumibili al vampirismo: si deve nutrire di sangue e soffre se esposto alla luce solare. La madre, quindi, decide di scappare nel cuore della notte per poter portare in salvo un neonato tanto strano. A questo punto compiamo un salto in avanti di diciassette anni ritrovandoci nel momento in cui la famiglia decide di cambiare città e di provare una sorta di inserimento all’interno di una cittadina, abituati com’erano a vivere isolati lontano da tutti e tutto.
Vediamo, quindi, immediatamente i temi centrali: l’esclusione e la ricerca di inclusione. Philemon è il nuovo arrivato, quello fuori posto perché considerato strano (viste anche le sue abitudini fisiologiche). Attraverso i tratti del vampirismo, quindi, si nascondono tutte le motivazioni per poter escludere qualcuno dall’interazione col gruppo. L’elemento fantastico serve, quindi, come tramite per poter far sì che il pubblico possa entrare in totale simbiosi con i sentimenti quasi bestiali provati dal ragazzo. Lui che, a diciassette anni, deve capire la propria identità, la propria natura, ma allo stesso tempo cerca una sorta di riscatto sociale attraverso l’amore.
Una pellicola che riesce a trattare con crudezza la realtà dei fatti, una durezza inaspettata che per la prima volta scinde il vampirismo dai soliti canoni: non abbiamo una verginea ragazzina, non abbiamo l’abbandono della purezza, ma solo la totale ricerca del sé e dei propri pari. L’orrore, quindi, si manifesta attraverso gli aspetti più umani della vita perché sì… il sangue scorre, ma è stato versato dal dolore scatenato dai bulletti di città.
Le immagini sono pulite, vibranti, cristalline. Si vive in quel perenne crepuscolo, in attesa che la notte cali e che possa permettere agli istinti primordiali di venir fuori. Visivamente si ha quell’ambientazione alla “Edward mani di forbice” e in questo è molto brava sia la regista, nel riuscire a restituire quest’immagine al suo pubblico, ma dall’altra è perfetta la scelta fatta sull’attore protagonista. Mathias Legoût-Hammond ha la perfetta prestanza scenica per il suo ruolo e riesce, magnificamente, a condensare in sé la contraddizione dell’essere un adolescente.
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