venerdì 13 settembre 2024

#Racconti: I segreti della mattina - Prima Parte

Quando ero bambina pensavo che la mattina appartenesse solo ai veri fortunati. Capitava di rado che non andassi a scuola pur stando bene, gli scioperi ai miei tempi non erano così frequenti. Con entrambi i miei genitori al lavoro ero affidata ai miei quattro nonni, che fortunatamente andavano tutti d’accordo tra di loro.     
Arrivavo sotto il portone dei genitori di papà, Costanza e Tonio, e con quest’ultimo andavo al bar a fare la seconda colazione, “Mi raccomando, leggera, che ha già mangiato a casa” così ho pensato fino ai quindici anni che il maritozzo con la panna e il succo di frutta alle otto e mezza del mattino, dopo il latte e Nesquik con cinque Abbracci si potesse considerare una colazione leggera.


Nonno Tonio mi portava tutto al tavolino, mentre lanciava occhiate felici e soddisfatte ai suoi amici, seduti a qualche metro di distanza. All’epoca le ignoravo, oggi non so se erano dovute al fatto che fosse davvero orgoglioso di me o se semplicemente era felice di non avere a che fare, almeno per una mattinata, con discorsi di acciacchi o ricordi sui bei tempi andati, quando erano al fronte e avevano fatto vedere agli altri di che pasta erano fatti gli italiani. Se penso che quelle conversazioni un tempo erano la normalità, mi vengono i brividi.

Quando ero agli ultimi morsi del mio maritozzo e il succo alla pera era ormai finito, arrivava nonno Erminio, che dava una copia del giornale a nonno Tonio, mentre la sua rimaneva ancora calda sotto il braccio. Si scambiavano qualche commento sulla politica e sul calcio e poi andavamo tutti e tre verso il parco, dove potevo giocare spensierata con altri bambini, compagni di sciopero. Facevo amicizia in fretta e così dopo quelli che a me sembravano dieci minuti, dovevo già tornare verso casa dei nonni Tonio e Costanza, non senza fare capricci placati solo da nonno Erminio che minacciava di mostrarmi la gamba di legno se non avessi fatto silenzio. Così salutavo i miei nuovi amici che avrei visto chissà quando e mi mettevo mano nella mano tra i miei due nonni, felice perché la strada del ritorno voleva dire passare davanti a un fornaio, con il profumo della pizza appena sfornata. Nonno Erminio, proprio come me, tendeva a rallentare ogni volta che passavamo lì vicino, lo vedevo cercare nella tasca della giacca le poche Lire che servivano per prenderne un pezzo bello grande così da potercelo dividere. Nonno Tonio non poteva accettare mai, per la sua glicemia alta, ma rallentava con noi il passo per non farci mangiare troppo in fretta. Tornati a casa, trovavo sempre lo zaino che papà aveva posato entrando mentre io ero con nonno Tonio e mi chiedevo cosa provasse un adulto a ritornare nella casa di quando era stato bambino e avvisare sua madre che sarebbe andato a lavoro. Mi chiedevo se gli adulti smettono di vedere le mamma e i papà come fanno i bambini; ora so la risposta, ma non credo sia giusto scriverla, ognuno deve avere il suo tempo per apprenderla.
La casa era silenziosa, fresca e sapeva di pulito. I nonni si mettevano al tavolo a leggere il giornale, uno ad alta voce e l’altro in silenzio. Io tra di loro a fare un po’ di compiti fino all’arrivo delle nonne Costanza e Giovanna tornate dal mercato che mi abbracciavano, pettinavano i capelli con le dita, baciavano e mi facevano così tanti complimenti che mi sentivo una di quelle signorine alla tv ben volute da tutti.
Seguivo le due donne in cucina, le aiutavo a mettere in ordine la spesa e a sapere quello che ci sarebbe stato per pranzo, sempre il mio piatto preferito, e se potevo aiutarle, la risposta era sempre sì. A casa con mamma non cucinavo quasi mai: dopo scuola avevo lo sport, il catechismo, il corso d’inglese, tornavamo tutti alle diciannove e lei voleva sbrigarsi, così al massimo potevo apparecchiare, ma quello non era un compito divertente come il cucinare.

Le nonne mi parlavano di quello che avevano visto al mercato, di alcune loro amiche e mi chiedevano a proposito dei compiti. Rispondevo concentrata mentre ero intenta a condire l’insalata, girare i cordon bleu e attendere che l’acqua per la pasta cominciasse a fare le sue bolle.
Ricordo che una volta guardai l’orologio e lo vidi segnare le dodici e un quarto. Mi fermai per un attimo che nella mia mente durò un’eternità pensando: ma perché la gente si dimentica di vivere durante la mattina?
Per carità, capivo che la scuola, il lavoro, gli impegni erano importanti, ma perché dovevamo farli con la fretta? Lasciai andare la domanda, che tornò con la sua risposta molti anni dopo. In quell’istante mi sentii molto fortunata, perché stavo comprendendo l’importanza delle mattine, quelle lente, quelle in cui in quattro ore ho fatto due colazioni, ho giocato, ho fatto i compiti e  ho aiutato le nonne a cucinare.

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