martedì 3 settembre 2024

#Metafisica: Stranger Of Paradise: Final Fantasy Origin

Durante l’esplorazione della trama di Stranger of Paradise, siamo rimasti colpiti dai contenuti della narrazione, specialmente nelle battute finali. In questo articolo daremo un’interpretazione semiotica e personale degli eventi del gioco. Per leggere semplicemente la recensione del titolo, potete cliccare qui.

Far affiorare dei significati sottesi in una trama non è un’operazione facile, è spesso richiesta un’associazione tra narrazione ed esperienza reale, la questione diviene anche più complessa quando le riflessioni sul concreto tendono a incontrarsi con la metafisica. Questo non dovrebbe togliere forma al reale, bensì rafforzarlo nelle sue strutture di base, dandogli un sostrato che lo regge attraverso e oltre il senso, inteso sia come percezione e sia come assunzione di significato nel contesto.

Partiremo dunque nell’esplorare la trama nella sua superficie, nei punti che interessano alla nostra analisi, per poi fornirne una lettura più profonda.

A grandi linee, Jack proviene da una civiltà avanzata, degli esseri umani che hanno raggiunto un livello di sviluppo tecnologico talmente elevato che ha concesso loro poteri considerati di natura divina. Questa civiltà è conosciuta con il nome di Lufenia e sorveglia la storia cercando di bilanciare luce e oscurità. Jack non ricorda nulla di tutto ciò, ricorda solo il suo obiettivo in questo mondo: uccidere Chaos, l’entità da cui proviene il male. Jack scopre nel corso degli eventi di essere un agente che viene periodicamente mandato in missione per impedire che l’oscurità si diffonda nel mondo.

Sembra la classica storia dell’eroe, ma le cose sono destinate a complicarsi.

La memoria di Jack viene cancellata volutamente a ogni missione. In un flashback, Jack viene istruito su quanto siano pericolosi i ricordi, dato che questi sono capaci di immagazzinare potenti emozioni negative. L’oscurità diviene pericolosa solo quando si lega a queste emozioni, generando i mostri. Dunque, la memoria di Jack viene ogni volta cancellata per salvaguardarlo, per non rischiare che le sue emozioni negative accolgano l’oscurità dentro di lui.

Alla fine, accade proprio ciò, Jack non solo recupera i suoi ricordi ma sperimenta anche un forte dolore emotivo che lo trasforma. Nell’istante in cui Jack vede morire la propria amata tra le sue braccia, qualcosa in lui inizia a cambiare. Quelli che fino a quel momento sono stati i suoi compagni di viaggio, colgono l’occasione e incoraggiano la trasformazione di Jack aggredendolo. Jack per autodifesa uccide i suoi amici.

Per Jack inizia così una discesa sempre più ripida verso l’oscurità che sta fiorendo nel suo cuore.

Così, ciò che Jack ha sempre odiato inizia a far lentamente parte di lui. Metafisicamente parlando, possiamo interpretare l’esperienza di Jack come un monito alla predestinazione.

Non si tratta tuttavia di una predestinazione che è stata imposta dall’altro, ma da se stesso.

Jack infatti, nelle memorie che ha perso, aveva già deciso di diventare “Caos”, per potersi liberare dal ciclo in cui era stato intrappolato, dato che la tecnologia di Lufenia non è in grado di controllare tale oscurità.

Metaforicamente si tratta di un ciclo di morte e rinascita, un eterno ritorno che viene spezzato una volta imparate le lezioni a cui ci siamo predestinati.

Jack è un individuo impavido che per la maggior parte della storia si rifiuta di ricordare e rinnega il suo passato. Le resistenze dell’Ego sono naturali, ma un bruco non può rifiutarsi di divenire farfalla. Jack ha scelto a priori di incarnare l’oscurità che da sempre ha combattuto, considerando tale esperienza come l’unica che gli permettesse di liberarsi dal ciclo che lo aveva schiavizzato.

Stranger of Paradise tratta dunque di una tragedia annunciata. Il titolo ci porta a riflettere sul valore delle esperienze negative che viviamo nelle nostre vite e dalle lezioni che queste possono tramandarci. Superare tali esperienze ci porta verso nuove frontiere, non è rinnegando o cancellando il dolore che si cresce. È abbracciando la totalità dell’esperienza che si realizza il nostro fine ultimo.

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