lunedì 3 giugno 2024

#Racconti: 1960 - Prima Parte

Anche se il secolo non è l’Ottocento, questo tipo di racconti fa parte della raccolta psichedelica di milleottocentoottantaequalcosa.

Sono racconti che all’apparenza possono sembrare insensati, ma in realtà portano nel mondo un profondo significato, basta solo saperlo cercare bene.

I fatti narrati sono autobiografici, ma per questioni di privacy abbiamo cambiato nomi, fatti e luoghi, così nessuno può lamentarsi.

Le immagini sono state create con l’intelligenza artificiale.

È una fredda e uggiosa mattina primaverile, ma di quella primavera che sembra autunno. Un aprile che non accetta il tripudio dei colori e allora inonda il cielo di grigio. O forse lo fa per risaltarli? Difficile comprendere il cielo dell’Ariete, meno che mai quello del Toro, hanno una logica tutta loro, lontana da quella dei Pesci, volta alla perfezione.
Hanno di nuovo bevuto il tè, Erf è rilassata, mentre LucaGian visibilmente seccato da tutto quanto.
«Che avete, diletto LucaGian?»
Silenzio.
«Suvvia, non siate timoroso. Sapete che potete dirmi tutto senza problemi. Non inveisco né vi insulto, non è nella mia natura essere così volgare.»
LucaGian prende coraggio.
«Sapete quanto io ami passare del tempo con voi, starvi accanto allieta ogni fibra della mia anima e persino l’Ego ne è appagato…»
«Ma…» Erf lo guarda con serietà e questo lo mette in soggezione.
«Ma…» LucaGian prende tempo, manda giù la saliva e batte le dita affusolate delle sue muliebri mani sulle cosce. «Ecco, vedete, stiamo in quest’epoca dallo scorso Natale, non pensate che dovrest…»
Erf si alza esasperata.
«Sono stufa di sentirvi parlare a vanvera. Vi voglio bene, ma è quando non ragionate e sproloquiate tanto per non ascoltare il silenzio che mi mandate su di giri.» Il tono calmo, freddo, così distante che LucaGian sente dei brividi sulla schiena, terrore puro misto a eccitazione. «Non ho forse lavorato in una sede pubblica della radiotelevisione italiana? Non ho forse organizzato diversi eventi? Non ho forse fatto da manger a diversi grupp…» Erf si arresta, con un sorriso malizioso in volto.
«Avete ragione, sapete?» si avvicina a LucaGian e gli sistema il gilet, togliendogli qualcosa di invisibile. Poi lo guarda nel profondo degli occhi, scrutando la sua anima così giovane e impaurita.
«L’Ottocento è così sopravvalutato. Non c’è acqua calda, ci si lava una volta a settimana, i bagni sono sprovvisti di bidet e sono stufa di sentire le chiacchiere nostalgiche dei Borboni. In più dovrei smetterla di incoraggiare questa tresca con il giovane principe Vittorio Emanuele di Savoia. Non perché sia appena diciottenne, dimostro meno anni di lui, ma perché probabilmente la storia non cambierebbe anche se scegliesse me a Elena.» Erf sospira rassegnata, guardando le lapidi fuori al suo giardino. «Ebbene, è tempo di abbandonare le fanciullesche fantasie di corone e dominio del mondo e tornare alla realtà. Anche se, devo dirlo, già mi mancano i trallazzi con Gabriele. Comunque, basta, torniamo.»
«Oh Erf, sapevo che la vostra saggezza non vi avrebbe abbandonata.»
«Vado a prepararvi l’altro tè, aspettatemi pure qui.»

Dopo aver bevuto il tè che avrebbe dovuto riportarli alla realtà, i due vengono catapultati in un luogo ancora più grigio e freddo, Erf però è vestita come sempre: con la sua moda anni ’60 che tanto ama. LucaGian, invece, è in completo elegante. Sente che qualcosa non va, e quando si accorge di stare in prossimità del mare, in lui crescono dei dubbi.
«Erf, non vorrei seccarvi ulteriormente, mi chiedevo… se per caso… questo luogo… beh, è questa Ostia?»
«Non dite assurdità. Vi sembra mai plausibile che Ostia sia così puzzolente?»
«In effetti. Stiamo quindi a Nap…»
«Liverpool.»
LucaGian la guarda con apprensione. «Cosa ci facciamo a Liverpool nel 2024?»
Erf si massaggia le tempie, meditando di non fare uscire tutta la rabbia repressa e uccidere il fedele amico.
«Stiamo a Liverpool, ma è il 1960. Abbiamo un compito da portare a termine.»
LucaGian capisce all’istante. «Erf, avevate promesso: niente piani dettati dalla mania di grandezza.»
Erf si volta di scatto verso il ragazzo che si fa sempre più piccolo sotto il suo pressante sguardo. «Se vi azzardate anche solo una volta a mettere bocca su quello che devo o non devo fare, quanto è vero che sono la prescelta dall’Universo per compiere il bene supremo, vi manderò nella fornace infernale mentre un giradischi manderà a ripetizione la parabola del servo malvagio e ingrato. Ci siamo intesi?»
LucaGian annuisce, ben intenzionato a non aprire più bocca.
Il negozio di musica è davanti a loro. Erf spalanca le spalle e prende coraggio, raddrizzando la schiena.
«Ora faremo la storia.»
LucaGian vorrebbe dire qualcosa di negativo e inutile, ma il pensiero di finire nella fornace infernale lo blocca dal dare fiato alla bocca.

Aprono la porta e un campanello segnala al proprietario il loro arrivo. Questo è abituato ai nuovi volti, dopotutto Liverpool è una città di porto, dove tanti arrivano e tanti altri vanno via.
Erf si avvicina al bancone, sfoderando il suo sensuale accento italiano. Sa con certezza che sul venditore non ha alcun effetto, ma lo mostra per dargli l’idea di essere una turista.
«Buongiorno.»
«Buongiorno a lei.» il tono affascinante le scalda il cuore.
«Quest’estate sono stata ad Amburgo e ho ascoltato un gruppo inglese fantastico. Mi hanno detto che sono di Liverpool e che hanno registrato le loro serate per vendere i dischi proprio in questa ridente cittadina. Noi due siamo in viaggio verso gli Stati Uniti, così quando siamo scesi qui ne ho approfittato. Mi chiedevo se ne fossero rimasti, immagino siano andati a ruba. Dovrebbero chiamarsi Beat… Beat Bro, forse? Insomma, Beat e qualcosa» solo LucaGian poté scorgere lo sguardo manipolatorio di Erf, quello tipico di quando un primo passo fatto verso il compimento di un suo piano.
«Sa signorina, non è la prima che mi chiede di questi ragazzi di Liverpool. Purtroppo non ho idea di chi siano, non mi è arrivato mai nulla di loro.»
«Oh. È davvero un peccato.» il tono finto dispiaciuto. «Comunque suonano stasera al Cavern, io andrò a vederli, le consiglio di venire anche lei. Non se ne pentirà, chissà, magari una semplice serata potrebbe cambiarle la vita, signor?»
«Epstein. Brian Epstein.»
Erf sorride, lasciando il negozio.
«Aspetti, lei invece si chiama?»
«Lane. Penny Lane.»

A pochi passi dal negozio di dischi, LucaGian si volta verso la sua irraggiungibile amata.
«Speravo deste quel nome.»
«Già. È stato divertente».

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